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  2 (2003), Nr. 3: Inhalt
Abstract
Andrea Memmo a Roma, 1783-86: la tardiva vocazione di un autore
Novità documentarie e contraddizioni evidenti: il Piano per l'Accademia di Venezia.
Milizia: 'Colonnello comandante dei Filosofi architetti' e interlocutore di carta.
Memmo al lavoro: "il passar le coglionerie altrui mi fa sovvenire quelle di Lodoli"
Princìpi universali e relatività storica: il fallimento di Memmo e la fortuna di Milizia
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Susanna Pasquali

Scrivere di architettura intorno al 1780:
Andrea Memmo e Francesco Milizia tra il Veneto e Roma

 

Abstract 

Andrea Memmo ist in der Geschichte der Architekturtheorie vor allem deswegen bekannt, weil er durch die Veröffentlichung der 'Elementi d'architettura lodoliana, ossia l'arte del fabricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa' (Rom 1786) entscheidend dazu beigetragen hat, die originellen architektonischen Konzepte der Nachwelt zu überliefern, die der venezianische Franziskaner Carlo Lodoli zwischen 1730 und 1750 mündlich verbreitet hatte.
Der vorliegende Beitrag unternimmt es, anhand des bislang für verloren gehaltenen 'Piano Accademico', den Memmo um 1767 für die venezianische Akademie zum Zwecke der Unterrichtsreform der bildenden Künste (Skulptur, Malerei und Architektur) ausgearbeitet hatte, klarzustellen, welche wichtige Rolle der Aufenthalt in Rom für Memmo gespielt hat. Dies wird auch durch die Briefe belegt, die er während der Ausarbeitung seines Werkes über Lodoli verfasst hatte. Im Rom der 1780er Jahre waren für ihn ausschlaggebend 1. die Beziehungen zur dortigen Accademia di S. Luca und 2. seine Freundschaft zum spanischen Botschafter José Nicolas de Azara. Azara hatte ihn dazu ermutigt, über den Padre Lodoli zu schreiben, um dessen Gedanken denen des mit Azara befreundeten Francesco Milizia gegenüberzustellen.
 
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fig. 1fig 2
 
<1>
Francesco Milizia, nato nel 1725 in Puglia e suddito del Re di Napoli, secondo quanto egli stesso ebbe occasione di affermare, da ragazzo avrebbe girovagato tra Padova, Milano e Napoli; dal 1761 visse invece grazie a una piccola rendita stabilmente a Roma, dove morì nel 1798 (fig. 3). Nella ricostruzione della sua vita, nelle sue opere e in quello che può chiamarsi la loro 'officina' – costituita dalla sua vasta corrispondenza – emerge con chiarezza che, benché giovanile, il soggiorno a Padova [1] fu per lui centrale; Milizia avrebbe cioè contratto un debito duraturo e fecondo nei confronti del Veneto, in rapporto alla sua carriera di scrittore, principalmente in materia di architettura. Tra i due medesimi poli del Veneto e di Roma, Andrea Memmo sembra incarnare invece il movimento da e verso direzioni opposte: patrizio veneto, nato nel 1729, ebbe una carriera tutta nella amministrazione civile della Repubblica, ma quando, quale tappa della sua carriera, nel corso del 1783 arrivò nello Stato Pontificio in qualità di ambasciatore, a lui, veneto, fu piuttosto Roma a costituirsi fonte feconda (figg. 1-2). Dalla sua altrettanto copiosa corrispondenza, sappiamo che – con sua stessa sorpresa – fu in questa città che egli inizò a scrivere di architettura. Scrisse e quindi pubblicò a Roma nel 1786, in forma anonima, il libro: 'Elementi d'architettura lodoliana, ossia l'arte del fabricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa'. Libro che, rispetto alla ben più continuativa attività di Milizia, si situò cronologicamente tra due celebri volumetti di quest'ultimo, pubblicati anch'essi anonimi: 'Dell'arte di vedere nelle belle arti secondo i princìpi di Sulzer e Mengs' del 1781 e 'Roma delle belle arti' del 1787. Entrambi scritti a Roma, ma ostentatamente pubblicati invece in Veneto.
 
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fig 3
 
<2>
Diversi sono stati anche destini dei due autori nella storiografia architettonica successiva. Milizia incontrò subito una straordinaria fortuna postuma, costruita in modo definitivo già a cavallo tra Sette e Ottocento. Uno dei responsabili ne fu Leopoldo Cicognara che già nel 1813 riconobbe in lui, piuttosto che in un architetto in grado di mostrare opere costruite o almeno progettate, uno dei padri del moderno 'Risorgimento delle arti in Italia': in virtù della sua sola produzione teorica, Milizia venne infatti paragonato, per l'architettura, al celeberrimo Canova per quanto questi aveva fatto per il rinnovamento dell'arte della scultura. [2] Memmo invece, da parte sua, doveva incontrare, dopo un primo oblio – perché nessuno mai lo incluse tra i padri fondatori della didattica accademica del primo Ottocento – solo critiche. Perché, come era chiaro sin dal titolo stesso del suo testo, egli volle presentare, non le sue idee, quanto quelle di padre Lodoli, cioè quanto questo celebre francescano era andato predicando a Venezia tra il 1730 e il 1750 (fig. 4). E siccome gli storici dell'architettura che, soprattutto nel corso del Novecento, hanno riportato l'attenzione sugli 'Elementi' di Memmo, non erano interessati alla sua persona, quanto piuttosto alla ricostruzione del pensiero di padre Lodoli, tutti hanno unanimamente decretato che, di quelle idee, Memmo è stato – assieme al più celebre Francesco Algarotti – un traditore. [3]
 
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fig 4
 
<3>
Quanto finora qui presentato è abbastanza noto. Ciò che qui proponiamo è di mettere in evidenza, attraverso la lettura di documenti noti e un importante inedito, un legame molto più stretto tra i tre libri già citati. E questo, soprattutto attraverso lo scavo dell'identità della persona oggi meno conosciuta, quale è Memmo, per capire chi effettivamente egli era nel momento in cui si accingeva a scrivere di architettura.
 

Andrea Memmo a Roma, 1783-86: la tardiva vocazione di un autore

<4>
A differenza del soggiorno giovanile di padre Lodoli a Roma che, riguardando chi al momento era solo un oscuro seminarista francescano, ha lasciato pochissime tracce, quello del suo biografo Andrea Memmo (1729-1793) è invece ben documentato. Egli arrivò in città grazie al visibile incarico di ambasciatore della Repubblica di San Marco presso lo Stato Pontificio; nominato nel 1781, prese servizio in città nel corso della primavera del 1783, [4] per poi ripartirne quando fu chiamato ad una più alta carica: nel corso del 1785 venne eletto Procuratore e nell'ottobre 1786 lasciò definitivamente Roma alla volta di Venezia. Oltre alle carte che documentano la sua attività diplomatica, decine e decine di lettere, da lui spedite e ricevute dai suoi amici in quegli stessi anni, restituiscono anche molto della sua vita privata [5] e, in ogni fase, anche il procedere delle attività editoriali da lui intraprese. E, perduto dopo il 1945 il gruppo più consistente di suoi manoscritti, [6] restano tuttavia le opere a stampa, e soprattutto le relative note, a fornire ulteriori ampi stralci del suo procedere in quest'ultimo campo. Documenti questi, tutti noti e studiati talvolta in modo esemplare, che sono da noi riesaminati al fine di mettere in evidenza un dato finora mai preso in considerazione: è solo durante i tre anni passati a Roma che Memmo ebbe, per la prima volta, l'idea di 'farsi autore', ricostruendo in forma scritta e destinata a un vasto pubblico, il pensiero di padre Lodoli. Formulato l'intento, è ancora in questa città che Memmo ebbe la possibilità di scrivere e di pubblicare la prima parte della sua opera, gli 'Elementi' (1786), comprensiva di una biografia del padre francescano e della ricostruzione della sua teoria sull'architettura. [7] Completò inoltre a Roma anche il manoscritto della seconda parte dell'opera [8] (ed. riveduta 1833) [9], nonché gli 'Apologhi', i quali, scorporati dal primo volume, [10] vennero per sua cura pubblicati in Venezia l'anno successivo, nel corso del 1787. [11]
 
<5>
In che modo, dunque, Roma contribuì a rendere Memmo, da generico dilettante, un autore di architettura? La fonte principale per la ricostruzione del suo impegno lodoliano a Roma è costituita dalle lettere che egli ha inviato con regolarità all'amico Giulio Perini, bibliotecario della Magliabecchiana in Firenze. [12] Nell'appendice presentiamo il quadro completo della corrispondenza scambiata da Memmo con lui e con altri dal 1784 al 1791; qui di seguito ne prendiamo in esame i nodi fondamentali. Che, a ben guardare, sono tutti espressi in una lettera indirizzata da Memmo a Perini, quasi un anno dopo il suo arrivo, nel maggio del 1784, quando egli scriveva da Roma:
"Vi è qui più di un erudito in architettura, che non già per rinunciare a quello che ama, ma per la sola curiosità di intendere i modi di pensare sulla medesima del padre Lodoli, non bastandogli quel che potei dire a voce, vorrebbe vederli estesi in carta". [13]
 
<6>
I cui elementi di grande interesse sono: un Memmo che, in grado di presentarsi in qualità di intendente di architettura, intratteneva 'a voce' altri intendenti sui modi di pensare di padre Lodoli; un gruppo di interlocutori, non architetti di professione, quanto piuttosto dilettanti in quella materia, che Memmo ebbe modo di frequentare in modo continuativo; la presenza, inoltre, di radicate convinzioni altrui (espresse dai dilettanti che non rinunciano "a ciò che amano"), che invitava Memmo ad esplicitare, per la prima volta nel maggio 1784, il nuovissimo progetto: scrivere finalmente lui, in prima persona, del contributo di Lodoli in questo campo.
 
<7>
Quali erano state, fino a quel momento, le sue personali esperienze connesse all'architettura che, accanto all'identità di ambasciatore, lo invitavano all'impresa sono da tempo ben note, grazie agli studi di Francis Haskell e Manlio Brusatin. [14] Giovane, era stato insieme al fratello Bernardo, diretto allievo del padre francescano; intorno alla metà degli anni Cinquanta, egli era stato uno dei promotori della divulgazione dei suoi insegnamenti architettonici, affidata allora a Francesco Algarotti. [15] In qualità di ambasciatore a Costantinopoli (1778-1782), egli si era reso responsabile della ricostruzione della sede diplomatica di Pera: aveva fatto edificare, a spese del suo governo, una fabbrica dal riconoscibile profilo di villa veneziana, nella quale aveva presumibilmente messo anche in opera alcuni artifici dei quali Lodoli era stato il promotore. [16] Esperienza di poco più lontana nel tempo, ma ancora in corso d'opera, era invece la monumentale sistemazione del 'Prato della Valle' di Padova, da lui promossa nel 1775, quando era governatore di quella città. [17]
 
<8>
Opera che, durante il suo soggiorno a Roma egli, grazie anche al peso diplomatico al momento esercitato, continuava comunque a perseguire con assiduità, allo scopo di promuovere il finanziamento delle statue celebrative ancora da realizzarsi. E ciò, sia avvicinando i facoltosi viaggiatori stranieri, sia quanti abitavano stabilmente in Roma; sia, addirittura, coinvolgendo direttamente il pontefice. Per Pio VI Braschi, che di ritorno da Vienna nel 1782 aveva visitato Padova. Nel marzo del 1784 – due mesi prima della citata lettera a Perini – Memmo aveva allestito a Roma una sorta di esposizione del progetto del Prato di Valle. [18] Il disegno presentato, in due fogli, era stato fatto da Giuseppe Subleyras; dopo essere stato mostrato al papa, Memmo lo pose e lasciò bene in vista nella sua residenza in Palazzo Venezia per continuare a mostrarlo "a' scelti visitatori". Quale illustrazione della relazione di progetto, stesa da un suo collaboratore, lo fece quindi trasporre in rame a Francesco Piranesi e provvide a stampare il così ottenuto volumetto a Roma nel corso del 1785. [19]
 
<9>
Il ritratto che egli commissionò nel 1786 all'allievo di Batoni, Giuseppe Pirovani, forniva l'immagine che egli aveva di sé e che intendeva presentare a Roma e altrove: il diplomatico, vestito delle riconoscibili insegne del rango appena ottento di Procuratore di San Marco e, al tempo stesso, il committente e intendente di architettura che teneva tra le mani le immagini più riconoscibili delle architetture da lui promosse: il disegno della facciata della sede di Costantinopoli e la veduta del Prato di Valle presentata al papa (fig. 1). [20]
 

Novità documentarie e contraddizioni evidenti: il Piano per l'Accademia di Venezia.

<10>
Quanto finora elencato è coerente con l'impegno che dal maggio 1784 determinò Memmo a pubblicare [21], nel febbraio del 1786 [22], la prima parte del suo libro dedicato a Lodoli: nuovi elementi, però, ci restituiscono un quadro, dove il suo impegno per diffondre il pensiero del frate in materia di architettura difficilmente poteva assumere un'immagine unitaria come quella che, anche grazie a quanto Memmo di sé medesimo scrisse, è stata finora ricostruita.
 
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fig 6
 
<11>
Nel corso dell'aprile del 1785, quando aveva compiuto la ricostruzione della biografia di Lodoli, quasi terminato "il primo libro che tende a distruggere i capricciosi capricci coltivati sin ora" e, infine, distribuito il testo ai suoi corrispondenti veneziani per averne un giudizio [23], Memmo è proposto accademico d'onore presso l'Accademia di San Luca di Roma. [24] In ringraziamento di una nomina, peraltro assai largamente concessa a quanti avevano un ruolo diplomatico comparabile e senza che fosse richiesta alcuna particolare competenza, egli fece dono di un "libro manoscritto … in cui tratta del modo di erigere una Accademia di Belle Arti in Venezia". [25] Specificando, quando ebbe occasione di parlarne di nuovo due anni dopo, che tale progetto fu poi, dagli accademici romani, "letto in assemblea in più giornate e, per quanto mi si disse, applaudito". [26] Principe al momento era il pittore Antonio von Maron (1731-1808), del quali si conoscono alcuni tentativi di riforma dell'accademia romana: [27] cosicché può ipotizzarsi che la lettura del piano di Memmo ebbe probabilmente luogo su suo interessamento e in funzione di piani – mai approvati – da lui proposti. A questa fase, non molto nota e purtroppo poco documentata della vita dell'Accademia di San Luca, è – secondo noi – da collegare il tema del Concorso Balestra per 'Una fabbrica per uso dell'Accademia del disegno', dove alcuni degli spazi rappresentati nella prova dell'architetto Mario Asprucci [28] (figg. 6-8) restituiscono almeno qualche indizio sul contenuto di quelle perdute discussioni.
 
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fig 7fig 8
 
<12>
Più interessante però è che cosa effettivamente donò Memmo e, di conseguenza, quale può essere stato il rapporto tra la pubblica lettura delle sue proposte per l'insegnamento dell'architettura e quel gruppo di intendenti, al cui confronto, egli avrebbe avuto – secondo quanto espresso nella citata lettera a Perini del maggio 1784 – intenzione di rispondere con il suo testo su Lodoli. Il 'Piano generale per una Accademia sopra le belle arti del Disegno' in questione, finora considerato perduto [29], consisteva in un volumetto rilegato composto di poco più di duecento pagine (fig. 5), che presentava una organica proposta formulata da Memmo per riformare i metodi di insegnamento delle tre arti del disegno. Tale 'Piano' gli fu personalmente commissionato, anche se in forma non ufficiale, da uno dei tre Provveditori agli studi di Padova, responsabili per statuto della istruzione in tutto il territorio della Repubblica; privo di data, da elementi interni al testo, deve datarsi prima del 1768 [30], precedente cioè ad ogni impegno di Memmo nella costruzione diretta di fabbriche. L'ambiente deve invece ritrovarsi nella persona del committente, l'allora Provveditore Lorenzo Morosini, e nel gruppo più largo di quanti condivisero in quegli anni '60 con Morosini la volontà di riformare le istituzioni della Repubblica. [31] Obiettivo più circoscritto, oggetto del volumetto di Memmo, era la riforma dell'Accademia di Venezia, allora in funzione con gli statuti del non lontano 1756 [32], e una nuova formulazione dei rapporti tra arti maggiori e minori. [33]
 
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fig 5
 
<13>
Se ci si chiede però quanto, di questo piano generale per le tre arti, possa essere stato da Memmo redatto in base agli insegnamenti ricevuti da Carlo Lodoli, la risposta non è semplice. Al contrario di quanto ci può aspettare leggendo gli 'Elementi' del 1786, il nome del padre morto nel 1761, nella stesura del 'Piano' del 1767, non è citato in alcun luogo. Altrettanto imprevedibilmente, è piuttosto Francesco Algarotti – che nel 1758 aveva pubblicato il suo 'Saggio sull'architettura' su incarico di Memmo stesso e comunque, stando a quanto Memmo ne scrisse nel 1786, con la totale disapprovazione sua e del padre Lodoli [34] – l'autorità principale di cui Memmo si serve per elaborare molto del suo piano generale. [35] Infine, nel commiato indirizzato a Morosini, senza che ne sia citato esplicitamente il nome, è nell'abate Filippo Farsetti (1703-1774) [36] che Memmo indica la maggiore autorità vivente in materia di belle arti, alla quale umilmente rimanda per ogni ulteriore consiglio. Ruolo di Farsetti che può, inoltre, forse riconoscersi anche in quell'autorità che avrebbe convinto Memmo a svalutare, nella stesura del piano, la scuola di pittura veneta, a tutto vantaggio di quella invece allora sviluppata a Roma. [37]
 
<14>
Se questo è il quadro dei legami di Memmo con una Venezia, da lui considerata tributaria di Roma e nella quale Lodoli non era il principale riferimento, evidenti sono anche, soprattutto nella stesura dell'introduzione, i rapporti con la cultura francese più aggiornata del tempo: la proposta riforma dell'Accademia è dichiarata conveniente allo Stato, una volta che si è prima definita l'utilità delle produzioni artistiche ai fini del pareggio nella bilancia commerciale del paese; il 'Discours préliminaire de l'Encyclopédie' di D'Alembert è il testo più citato; [38] la conoscenza della lingua francese è da diffondere quanto più possibile, perché solo in Francia si pubblicherebbero i libri più utili alle arti, e in special modo all'architettura. [39] Dove – c'è da notare – la prescrizione riferita al francese aveva significativi riscontri anche con la biografia di Memmo stesso: nel corso della sua vita, egli avrebbe addirittura dichiarato che poter parlare il francese equivaleva quasi a nascere una seconda volta [40], e accedere così – aggiungiamo noi – , senza attendere la pur operosa attività dei traduttori veneziani, alle opere colà pubblicate, tra le quali prima era – come s'è detto – l' 'Encyclopédie'.
 
<15>
In materia di architettura, l'Accademia di Venezia sistemata al 'Fontegheto' non aveva offerto, sino a quel momento, che un solo insegnamento. [41] Nell'introduzione al 'Piano', Memmo lamentava però che, tra le tre arti del disegno, questa era al momento particolarmente in crisi: praticata in città per lo più dai soli capomastri, vedeva la costruzione di edifici difettosi e destinati al rapido crollo. [42] Di qui, l'esigenza di provvedere alla formazione degli architetti della Repubblica, attraverso un nuovissimo corso di studi: nel 'Piano' proposto, all'architettura veniva dedicata una apposita Accademia e, alla formazione dei giovani architetti, una Scuola ripartita in quattro annualità: i due primi anni erano dedicati alle materie tecniche (tra le quali si distingueva, per l'evidente derivazione da modelli francesi, la stereotomia [43]); il terzo anno era dedicato ai 'princìpj dell'architettura'; l'ultimo interamente dedicato alla lettura dei 'Dieci Libri di Vitruvio'. [44] E se, in questo piano, l'attenzione orientata verso la scienza delle costruzioni derivava con tutta probabilità dagli insegnamenti di Lodoli, la conseguente proposta didattica era stata piuttosto formulata attraverso la frequentazione – forse già da parte di Lodoli, ma soprattutto del solo Memmo – della copiosa letteratura francese in materia.
 
<16>
Per quanto riguarda invece gli insegnamenti da impartirsi negli anni superiori, non sembra che Memmo, al di là delle scarne indicazioni di programma, avesse le idee sufficientemente chiare. In più luoghi del testo ciò è evidente: le ragioni della denunciata decadenza dell'architettura dei suoi tempi non sono da lui nemmeno elencate, perché "non si sono per anco ben publicate"; [45] mentre quando Memmo afferma – su evidente calco di una delle più note affermazioni di Lodoli – che gli architetti sbagliano "non rappresentando esattamente in pietra le fasi del legno, ed ignorantemente confondendo l'idea singolare di quel portico, o sia dei cinque ordini", [46] egli si mostra ben lontano dall'aver illustrato in modo comprensibile "quelli scientifici princìpi" che, secondo Lodoli, dovrebbero procedere la pratica.
 

Milizia: 'Colonnello comandante dei Filosofi architetti' e interlocutore di carta.

<17>
Se – come abbiamo cercato di mostrare – non c'è stata una continuità di impegno da parte di Memmo nei riguardi della diffusione degli insegnamenti di Lodoli in architettura, aumenta l'importanza del fatto che egli si sia posto solo nel 1784, per la prima volta, in prima persona il compito di rievocarli, in modo così esclusivo e così attento al dato biografico del loro autore. A Roma, un modello esistenziale era davanti ai suoi occhi: il volume degli 'Elementi' di Memmo presentava, già nella prima edizione del 1786, una dedica che è trascrizione di una dedica scritta da altri ad altrui libro: "L'ombra dell'amico estinto mi avverte a non contentarmi di fiori, né di lacrime inutili, ed a procurare d'adempiere i suoi desiderj col render utile la di lui memoria".
 
<18>
La firma era di un suo pari, l'ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Joseph Nicolas de Azara (1730-1804); il volume, da cui la dedica è tratta, è quello che questi ha pubblicato in memoria del pittore Mengs (1728-1779): 'Opere di A. Raffaello Mengs', Parma 1780 e, in seconda edizione, Bassano 1783. [47] Pochi anni prima di Memmo, de Azara, erede delle carte del pittore, aveva provveduto a mettere insieme e a stampare un'opera – la cui costruzione può seguirsi, come per Memmo, attraverso un'altrettanto fitta corrispondenza [48] – che era composta dalla biografia del pittore e dalla ordinata raccolta dei suoi scritti. Azara aveva inoltre provveduto a celebrare ulteriormente il 'suo' artista e teorico, attraverso l'erezione di un busto commemorativo posto nel Pantheon (1781) e, quale più significativa rappresentazione dello speciale rapporto da lui intrattenuto con l'oggetto dei suoi studi, egli aveva anche per suo più personale uso provveduto a fare modellare un erma bifronte (1786): [49] rappresentava insieme se stesso e Mengs, così come in un modello antico, allora recentemente venuto alla luce, Metrodoro figurava indissolubilmente legato al suo maestro Epicuro. [50]
 
<19>
L'ambasciatore di Spagna e l'ambasciatore di Venezia, perlomeno per questioni attinenti ai loro rispettivi incarichi ufficiali, ebbero certamente occasione di frequentarsi; [51] soprattutto se si tiene conto del fatto che, dopo la dissoluzione dei Gesuiti (1773) nella quale de Azara aveva avuto un ruolo rilevante, molti erano gli interessi rimasti in comune tra le due corti. Possibili legami più personali, intercorsi tra de Azara e Memmo acquistano inoltre maggiore interesse, se si tiene presente che alla stesura del libro su Mengs aveva lavorato, in qualità di segretario e amico personale di lunga data di de Azara, Francesco Milizia (fig. 3). Inoltre, nei rapporti tra questi ultimi due, gli anni 1781-85 furono proprio quelli che li videro più vicini: la pubblicazione della prima e della seconda edizione del testo di Mengs – dalle quali Memmo esplicitamente ha trascritto la citata dedica – era infatti inestricabilmente legata alla riedizione, per cura e con il danaro del loro incondizionato ammiratore de Azara, delle 'Vite degli architetti' di Milizia, sia nelle edizioni di Parma 1781 che di Bassano del 1785. [52]
 
<20>
In un mondo ove il rango aveva il suo ruolo, ben difficile non riconoscere allora, proprio nell'ambasciatore di Spagna, entusiasta di Milizia sino a far propri i suoi 'Princìpi', uno dei principali interlocutori di Memmo. Quasi che, in virtù di una curiosa simmetria, ciascuno degli ambasciatori in quel momento a Roma potesse fare riferimento, per discutere di architettura, al suo personale filosofo: o a un maestro riverito di un'altra generazione, come era Lodoli, o alla nuova autorità del momento, quale era allora considerato Milizia. Se è quindi esistita una specifica persona che, "non già per rinunciare a quello che ama, ma per la sola curiosità di intendere i modi di pensare sulla medesima dal padre Lodoli, non bastandogli quel che potei dire a voce, vorrebbe vederli stesi in carta", questo, secondo noi, non può essere stato che de Azara, in quanto sostenitore di Milizia.
 
<21>
Gli altri intendenti di architettura allora presenti a Roma, in documentati rapporti con Memmo, non sembrano aver avuto un ruolo che in un secondo tempo. Nel 1786, a dimostrazione della compiutezza della seconda e ulteriore parte degli 'Elementi', Memmo poteva citare l'avvenuta lettura del manoscritto da parte "d'un P. Xaquier, d'un P. Paoli, d'un Abate Amaduzzi, d'un Monsieur d'Agincourt". [53] Cioè: del famoso padre François Jacquier (1711-1788); di padre Paolo Antonio Paoli, che figurava comunque anche come entusiasta revisore dell'opera per conto della censura; [54] di Giovanni Cristofano Amaduzzi (1740-1792), probabile estensore della lunga recensione degli 'Elementi' nelle 'Effemeridi'; [55] di Jean-Baptiste Séroux d'Agincourt (1730-1814), citato peraltro anche da Milizia quale suo amico. [56] Altre figure possono inoltre essere aggiunte: il fiorentino Onofrio Boni, che lo avrebbe aiutato in uno studio del Pantheon; [57] l'arcade Angelo Goudar che avrebbe avuto la responsabilità della revisione generale del testo; [58] Vincenzo Lamberti, incontrato a Napoli. [59] Più importante socialmente, infine, era il prìncipe Sigismondo Chigi, che buon amico di Memmo, [60] era anche ben consolidato amico di de Azara [61] e in rapporti assai stretti, per tramite di questi, anche con Milizia. Milizia aveva infatti dedicato al prìncipe, non più tardi del 1781, la prima edizione dei suoi 'Princìpi di architettura civile'.
 
<22>
Impossibile invece, perlomeno sino alla fine del 1786, individuare in Milizia un referente conosciuto da Memmo in carne e ossa. Perché Memmo stesso, sino a quella data, ha sorprendentemente affermato di non averlo mai conosciuto: [62] tra i "motivi che indussero l'Espositore non architetto a scrivere sopra l'architettura", negli 'Elementi', dichiarava solo di avere già avuto notizia, mentre era ancora in Venezia, delle sue 'Vite' dall'abate Ercole Bonaiuti, connesso a Volpato e quindi al giro degli artisti veneti in Roma. [63] E, da parte loro, anche le carte superstiti di Milizia e di Memmo non offrono che labili indizi per quanto riguarda gli anni successivi: precedentemente all'arrivo di Memmo a Roma, Milizia era stato in documentati e stretti rapporti con l'ambasciatore veneto precedene, Girolamo Zulian, per il quale nel 1787 scriverà uno dei suoi 'pamphlets' più importanti, il 'Roma delle belle arti'; [64] Memmo, da parte sua, fu a sua volta, nei suoi anni romani, in rapporti epistolari con Zulian, tali che potrebbero aver compreso anche questioni di architettura. [65] Zulian, inoltre, verrà ricordato da Memmo negli 'Elementi' tra quelli che a Venezia, sebbene non fossero stati allievi di Padre Lodoli, tuttavia "il tennero in gran pregio". [66]
 
<23>
Ciò non toglie che fu proprio l'impatto, se non con la persona, con le opere di Milizia presentategli a Roma e, tra queste, coi 'Princìpi' del 1781, che determinò Memmo a scrivere. Mentre una delle principali ragioni che egli addusse in più luoghi del suo testo, quella di confutare la ricostruzione del pensiero di Lodoli già pubblicata da Algarotti, restava – secondo noi – secondaria: perché, sebbene "il veder che altri come Algarotti come pavone si facessero belli de' di lui [Lodoli] princìpj senza nemmen nominarlo" [67] e, segnatamente, le sue 'Lettere sull'architettura' lo avessero indignato, [68] c'è da infatti notare che Algarotti, morto dal 1764 e da Memmo, non più tardi del 1767, lodato nel suo 'Piano accademico', alla metà degli anni Ottanta ben difficilmente poteva ancora essere considerato un interlocutore in grado di innestare nuove e violente passioni. E' piuttosto l'uso che, senza nominarlo, Milizia avrebbe fatto di Algarotti a spingere Memmo a farsi paladino postumo di Lodoli: "Il sig. Milizia, che dopo letto il 'Saggio' dell'Algarotti, gustò tanto alcuni princìpii lodoliani che giunse a farli suoi proprii e a servirsi persino dei termini strettissimi di lui usati di quel suo primo espositore". [69]
 

Memmo al lavoro: "il passar le coglionerie altrui mi fa sovvenire quelle di Lodoli"

<24>
Se nel corso del giugno 1784, quando l'opera era appena iniziata da otto giorni, Memmo poteva lamentarsi di trovarsi "senza libri, e senza alcuno che possa aiutarmi", [70] il proseguimento dell'impresa vide entrambe le situazioni ben presto ribaltate. Per i libri, nel mese di ottobre la ricerca era già a buon punto. Pregava l'amico Perini che viveva a Firenze di passare "da tutti quei librai che potete, anche miseri, per farmi dare la nota di quei libri di Architettura che posseggono co' loro ultimi prezzi, onde possa mandarsi il danaro per quelli che mi mancassero". [71] Al residente della Repubblica di Venezia a Napoli, Alberti, la richiesta posta negli stessi giorni non è diversa: "Ho bisogno di libri che per qualunque via trattino d'architettura, buoni o cattivi", e pregava di mandare qualcuno dai librai di quella città, per "avere una nota la più estesa che fosse possibile di libri". "Perché ne ho bisogno, essendomi impegnato per mia fortuna a fare un libro di architettura per alcuni pochi amici miei, né posso compierlo se non passo tutti gli autori, che bene o male ne hanno trattato". [72] Volumi ricercati, che dagli elenchi disponibili, testimoniano comunque il perdurante interesse verso la pubblicistica francese. [73]
 
<25>
Per l'aiuto, una traccia, più che consistente, è da ricercarsi invece nell'abate Angelo Comolli (1765ca-1794), noto come autore della 'Bibliografia di architettura' (Roma 1788-92). [74] Sebbene, in più di una occasione, Memmo abbia dichiarato che il testo degli 'Elementi' è stato da lui stesso, senza l'aiuto di alcuno, almeno per la parte relativa alla ricerca dei libri di architettura, a Roma egli dovette aver fatto riferimento al giovane abate piemontese, il quale, nella 'Lettera dell'autore ad un amico' posta a presentazione del suo primo volume della 'Bibliografia', dichiarava: "Questa Bibliografia è il risultato di tre anni di ricerche, e Voi ben vi ricorderete, che sino dal dicembre del 1785 io vi scrissi, che allora appunto era per prendermi il carico di quest'opera, mercè le premurose, e replicate insinuazioni del virtuosissimo, e culto cavalier procurator di S. Marco D. Andrea Memmo, ambasciatore in quel tempo della sua serenissima Repubblica in questa S. Sede". [75]
 
<26>
Precedente o coincidente a questa opera di Comolli, [76] anche Memmo da parte sua aveva avuto, assieme alla ricerca delle sue carte di trenta anni prima relative a Lodoli, [77] un altro progetto che necessitava di un'altrettanta estesa conoscenza della bibliografia della materia: "scrivere una storia dell'architettura". Suo sodale nell'impresa, a quanto Memmo stesso dichiarava, era stato Sebastiano Alcaini; [78] suo modello probabile era la 'Storia dell'arte presso gli antichi' di Winckelmann, non ultimo per le sue evidenti manchevolezze nei riguardi della storia dell'architettura; [79] suo stimolo era la presenza in Roma del citato Seroux d'Agincourt che stava raccogliendo i materiali per una storia delle arti della 'decadenza' e che, come abbiamo visto, era da Memmo considerato uno degli interlocutori al quale, almeno il secondo volume degli 'Elementi' era stato presentato. L'impresa – scrisse Memmo – si interruppe però già nel corso dello stesso 1784, quando egli poté leggere la 'Lettera sull'origine, ed antichità dell'architettura', indirizzata da padre Paolo Antonio Paoli all'abate Carlo Fea e da questi inserita nel terzo volume, da quest'ultimo curato, della traduzione in italiano della 'Storia' di Winckelmann. [80] Perché nell'opera di Paoli, Memmo non ammirava solo l'uso delle fonti antiche, ma vi riconosceva addirittura una piena coerenza tra il disegno storico presentato e il pensiero di Lodoli. Nelle sue parole: "credei risparmiare a me la fatica, e di far la più grata cosa a chi leggesse il mio libro nel riportarmi a quanto sì giudizioso Scrittore dettò: giacché le sue riflessioni combaciano perfettamente con quelle del P. Lodoli, e sembra di rendere le une con le altre più autorevoli". [81]
 
<27>
Nello scrivere il suo libro dedicato a esporre i princìpi dell'architettura teorizzati da Lodoli, Memmo reputò quindi in un primo tempo necessario aggiungervi una sezione che avrebbe dovuto illustrare la storia dell'architettura. Ma tale sezione, come s'è visto, rinunciò ben presto a scriverla, scegliendo di sostituirla attraverso la citazione, almeno per l'architettura dei templi antichi, da un'opera altrui. E tale procedimento – il citare estesamente da libri altrui per quanto riguarda ogni questione della storia della architettura antica – fu da lui usato, in modo generalizzato, in tutta la sua opera. Gli 'Elementi', nella loro versione definitiva, risentono infatti fortemente di questa pratica utilizzata da Memmo fin dal 1784: lettore infaticabile di libri altrui – "il passar le coglionerie altrui mi fa sovvenire quelle di Lodoli" [82] – egli presentò, alla fine, un testo costruito di tali e tante estese citazioni o 'abrégé' di testi altrui, da rendere in più luoghi incomprensibile la presentazione della materia del suo libro, l'articolarsi del discorso e, in definitiva, finanche incomprensibile il pensiero stesso di Lodoli, che nell'economia finale del testo viene a trovarsi presentato qua e là, in mezzo a ciò che può definirsi un soliloquio intrattenuto da Memmo fra personali rimembranze del frate e i frammenti del libro di storia che non scrisse mai.
 
<28>
Dividere quanto è di Lodoli e risale agli anni '30 - '60, da quanto è di Memmo degli anni '80 nel corpo degli 'Elementi' è una delle attività che la moderna critica ha tentato più volte di fare: M. G. Gabbrielli (1945), sulla base dell'analisi dei manoscritti oggi perduti di Memmo, ha cercato di individuare le parti aggiunte dopo il 1786; [83] A. Cavallari Murat (1963 e 1966), sulla base della descrizione di Memmo dell'avvenuto ritrovamento della cassa di manoscritti originali di Lodoli, ha tentato di distinguere nel corpo del secondo volume degli 'Elementi' le possibili trascrizioni di questi; [84] E. Kaufman jr. ha indicato, soprattutto al più vasto numero di lettori in lingua inglese (1964), la possibilità di individuare i frammenti dei testi di Lodoli, nel lunghissimo testo di Memmo. [85] Nessuno s'è invece finora chiesto quali possono essere i significati di queste indigeste inserzioni effettuate da Memmo solo negli anni Ottanta.
 

Princìpi universali e relatività storica: il fallimento di Memmo e la fortuna di Milizia

<29>
Secondo padre Lodoli, i nuovi e "scientifici princìpi" che avrebbero dovuto governare l'architettura potevano trarsi dalla riflessione sull'arbitrarietà dei fondamenti sui quali era, secondo lui, fino allora basata l'autorità universale degli ordini classici. Come è noto, l'origine lignea della forma del tempio greco e di tutte le sue parti costituenti, così come era stata proposta da Vitruvio nel 'Libro IV', [86] divenne il nodo fondamentale ove Lodolì esercitò la sua critica in nome della ragione: le forme degli elementi dell'ordine dorico ancora in uso nella architettura dei suoi tempi, derivando da quelle di un sistema trilico di legno, mal si accordavano, secondo quanto egli affermava, alle potenzialità delle strutture in pietra; perché quest'ultime, ubbidendo ad altre leggi fisiche di comportamento allo sforzo, avrebbero potuto essere più utilmente modellate in altre e più congeniali forme. E' quello che Memmo, nel citato 'Piano' del 1767, oscuramente rimproverava agli architetti veneziani del momento (rei di non rappresentare "esattamente in pietra le fasi del legno") e che trovava inoltre, fin dagli anni dieci del Settecento, significative consonanze con alcuni notissimi libri pubblicati in Francia in materia di architettura: M. de Frezier: 'Mémoires critiques d'architecture …' (1702); J. L. de Cordemoy: 'Traité de toute l'architecture …' (1714, 2. ed.); M. A. Laugier: 'Essai sur l'architecture' (1753); nonché, in generale, con la pubblicistica dei 'Modernes'. [87]
 
<30>
Quando Memmo si accinse però, agli inizi del 1784, a "fare un libro di architettura per alcuni pochi amici" e, quindi, a farsi autore di un libro largamente distribuito, almeno trenta anni erano passati da quelle innovative riflessioni. E se la loro validità – tendenzialmente universale, perché fuori del tempo, come ogni principio che si voleva 'scientifico' – poteva da Memmo essere ancora rivendicata negli anni '80, molto invece era cambiato proprio in merito alla architettura antica, dalla quale le riflessioni di Lodoli avevano preso l'avvio. Il padre francescano era stato a Roma intorno al 1712: dell'architettura antica, egli aveva avuto modo, così come era costume dal Cinquecento in poi, di studiare solo i grandi monumenti romani, attraverso l'osservazione diretta e il confronto tra le rappresentazioni che ne avevano dato Palladio (1570) e Desgodetz (1682). [88] Tra il 1750 e il 1780, molto si era invece aggiunto a quelle notissime architetture, per cui ben poco senso aveva ormai il fatto che Memmo potesse scrivere da Roma il suo libro: accanto alla famosa 'querelle' sulla paternità greca, etrusca o egiziana dell'architettura delle origini, che aveva già visto Piranesi contrapposto a Mariette [89] e ancora, sino ai giorni nei quali Memmo scriveva, il citato padre Paoli contrapposto ad Onofrio Boni [90], le informazioni che si erano via via accumulate sulle singole architetture esistenti ed esistite nell'intero mondo antico dovevano apparire, così come in effetti erano, nuovissime e straordinarie. Con la conseguenza che la conoscenza delle architetture della Grecia, della Magna Grecia, delle città vesuviane e dell'intero modo antico, estesa per tutti i secoli nella sua durata e nell'intera area del bacino mediterraneo, difficilmente permetteva ancora una semplificazione concettuale come era quella del tempio primigenio di Vitruvio e di Lodoli.
 
<31>
Di fronte a questa situazione, per prima cosa Memmo tentò di procurarsi tutti i libri di architettura pubblicati in Europa nel tempo intercorso; quindi tentò di riordinare egli stesso quanto, sostituendosi all'idea astratta di generico tempio antico, era ora diventato un insieme multiforme che poteva solo essere presentato attraverso una sequenza storica; tentò cioè di scrivere una storia dell'architettura antica, per abbandonare poi ben presto l'impresa, non senza tuttavia che nella stesura finale degli 'Elementi' non ne emergano relitti più che consistenti, sotto forma di 'abregé' dei tanti libri letti. Nostra ipotesi è che i due progetti perseguiti da Memmo nello stesso libro – scrivere un trattato sui princìpi scientifici universali e scrivere un'aggiornata storia dell'architettura, tale che, come figura dal lavoro da Memmo iniziato, altro non era che la presentazione di tanti casi particolari [91] – siano entrati in collisione; collisione che, già evidente ai recensori contemporanei quando criticarono il carattere enciclopedico del testo, era però in qualche modo un esito obbligato. Poteva, infatti, il sistema di Lodoli reggere alla prova della relatività storica, così come emergeva dalla frammentaria, eppur multiforme, storia dell'architettura negli anni in cui questa stessa si stava ancora scrivendo?
 
<32>
Se per Memmo, e forse per de Azara, il confronto tra Lodoli e Milizia era stato concepito come uno scontro tra due diversi sistemi filosofici applicati all'architettura, [92] il vero confronto tra la validità dei due sistemi si era tutto giocato nel rapporto tra princìpi universali e storia; e ciò, a tutto a vantaggio di Francesco Milizia. Costui infatti, nei suoi 'Princìpi' del 1781, e in forma più chiara e ridotta ancora nella 'Arte di vedere nelle belle arti' (1781 e 1786) e nel 'Roma delle belle arti' (1787), era riuscitò a presentare non uno, ma più princìpi generali, che tenevano ormai conto della definitiva dissoluzione dell'idea di un'unica architettura antica. A ciascuna delle due maggiori architetture storiche, Milizia riconosceva infatti propri ed autonomi princìpi. Alla architettura greca, egli riconosceva l'invenzione del tempio e, dal punto di vista costruttivo, l'impiego del sistema trilitico: di conseguenza, le colonne e ogni altro elemento degli ordini architettonici che era derivato dal tempio, potevano, secondo lui, essere coerentemente riutilizzati nella moderna architettura solo quando si faceva uso di sistemi trilitici, quali erano tutti quelli nei quali la colonna era utilizzata come elemento portante. [93] Alla architettura romana, e più precisamente, alla architettura di Età Repubblicana, Milizia riconosceva invece la paternità dell'invenzione della volta: le volte in conci di pietra, le volte e cupole in opera cementizia; più in generale, ogni opera di muro. Di conseguenza, ogni moderna costruzione che facesse uso di murature avrebbe dovuto ubbidire al principio costruttivo romano. [94]
 
<33>
Tutto ciò però, rispetto al procedere di Memmo, era stato ottenuto al prezzo di due grandi semplificazioni. La storia dell'architettura era stata ridotta all'essenziale: il teorico, alla ricerca dei princìpi insiti in ciascuna delle grandi civiltà architettoniche antiche, aveva smesso di rincorrere le novità emergenti dai viaggi e dagli scavi – di qui l'esplicita polemica di Milizia contro gli antiquari che potevano cambiare il quadro delle conoscenze date, nonché il suo evidente disinteresse rispetto alle novità via via pubblicate [95] – perché queste avrebbero portato solo eccezioni ad un quadro che, invece, si pretendeva regolato da leggi semplici. Ma, soprattutto, Milizia aveva anche dovuto tenere artificialmente separate, al prezzo della verità storica, l'architettura romana da quella greca, perché da ciascuna di esse doveva discendere un distinto principio da lui teorizzato: nella sua ricostruzione storica era diventato infatti necessario asserire che fosse esistito un lunghissimo periodo, genericamente etichettato come Repubblicano, durante il quale i Romani mai avrebbero impiegato gli ordini architettonici sulle pareti, sotto forma di semipilastri o paraste, preferendo piuttosto esibire le sole e nude superfici delle murature. [96] Affermazione quest'ultima che, priva di ogni veridicità, rendeva di fatto possibile l'individuazione di un autonomo principio 'romano', mai prima teorizzato, necessario alla generale costruzione, da parte di Milizia, di un nuovo sistema normativo per l'architettura, ove i princìpi, non derivati dalla ragione ma dalla storia, erano comunque ancora basati, come già in Lodoli, sulla logica dei sistemi costruttivi utilizzati.
 
<34>
'Esprit de système', attenzione alle tecniche costruttive e presentazione di una storia semplificata di tutta l'architettura antica: se questo era quanto Milizia era riuscito a mettere indissolubilmente insieme nei suoi 'Princìpi' del 1781, non stupisce allora lo straordinario successo che questo libro incontrò prima presso i giovani architetti del suo tempo e, quindi, tra le generazioni successive, perlomeno fino a quando è esistita un'architettura che, comunque fondata, trovava nelle sole forme dell'architettura antica i suoi riferimenti. Al confronto, difficilmente i soli 'scientifici princìpi' di Lodoli, quando furono tardivamente presentati nel 1786, anche se affidati ad un miglior redattore di Memmo, avrebbero potuto trovare altrettanta fortuna.
 

Note:

[1]
La biografia giovanile di Milizia è nota da quanto egli stesso ne scrisse (F. Milizia: Notizie di F. M. scritte da lui medesimo…, Bassano 1804); una estesa ricerca archivistica è pubblicata in: Francesco Milizia e il Neoclassicismo in Europa. Atti del Convegno internazionale di studi, Oria novembre 1998, Bari 2000.
[2]
L. Cicognara: Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, 2. ed., vol. V, Prato 1824, 130.
[3]
Cfr., infra, nota 85.
[4]
Nominato nel 1781, mentre era in servizio a Costantinopoli; dalla metà del 1782 sino ai primi del 1783 è a Venezia (G. Torcellan: Una figura della Venezia settecentesca. Andrea Memmo, Venezia-Roma 1963, 170-171). Il primo suo dispaccio diplomatico da Roma è del 14.06.1783 (Archivio di Stato, Venezia, Dispacci degli Ambasciatori al Senato, Indice, Roma 1959).
[5]
Indicazioni archivistiche in: P. Molmenti: Epistolari veneziani del secolo XVIII, Milano / Palermo / Napoli 1914; Torcellan: Una figura della Venezia; ai fini dei nostri studi, il più importante tra i suoi corrispondenti è stato Giulio Perini (Archivio di Stato, Firenze, Acquisti e doni, filza 94, inserto 147, nn. 78 lettere di Memmo, dal 28.08.1764 sino al 10.04.1790; d'ora in poi abbr. in Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147), le cui lettere non sono mai state finora utilizzate per studiare gli scritti di architettura di Memmo in rapporto all'ambiente romano. Perini, toscano, studiò prima a Pisa e quindi a Roma per cinque anni; obbligato ad allontanarsene perché coinvolto in qualche modo nell'elezione capitolina della poetessa Corilla Olimpica (cfr., infra, nota 58), nel 1776, trovò rifugio in Venezia per tre anni presso uno dei Cornaro; da quella città scrisse lettere di elogio del governo repubblicano e delle libertà che, al confronto degli altri Stati italiani, vi si sarebbero godute ("Sono in Venezia, sono in un clima felice, nel Regno della libertà, sono in una parte del mondo omogenea al mio spirito e al mio temperamento", Archivio di Stato, Firenze, Acquisti e doni, filza 97, inserto 1, maggio 1762); tentò la fortuna scrivendo opere teatrali (ibid., dicembre 1764) e, almeno dal 1770, risultava essere in contatti epistolari con Bernardo Memmo (ibid.). Più tardi a Firenze, quando intratteneva la corrispondenza con Andrea Memmo, era tornato in Toscana, in qualità di bibliotecario nella Magliabecchiana.
[6]
Per le perdute carte di Memmo, già nella Biblioteca Municipale di Treviso (Biblioteca Municipale di Treviso, inv. n. 41.643: Copia del libro a stampa con note autografe; inv. n. 41.644, Ms del secondo libro con altri appunti della stessa materia), cfr. la descrizione datane in: A.M. Gabbrielli: L'Algarotti e la critica d'arte in Italia nel Settecento, in: 'Critica d'arte', agosto-dic. 1938 e gennaio-marzo 1939; A.M. Gabbrielli: La teoria architettonica di Carlo Lodoli, in: Arti figurative 1 (ottobre 1945)/3, 123-36. Per la loro successiva indisponibilità: Torcellan: Una figura della Venezia, 192-193n.
[7]
Il titolo della prima distribuzione era: [A. Memmo], Elementi di architettura lodoliana. Parte prima, con alcune notizie spettanti alla vita, e studj del P. Carlo Lodoli Minore osservante, Roma 1786; la ristampa fornita di "errata corrige" e di un indice a cura di A. Comolli, mutò il titolo in: Elementi dell'architettura Lodoliana, o sia l'arte del fabbricare con solidità scientifica, e con eleganza non capricciosa. Libri 2, vol. 1 (A. Comolli: Bibliografia storico-critica dell'architettura civile ed arti subalterne, Roma 1788-92, vol. IV, 51).
[8]
Prima della partenza da Roma (16.10.1786), Memmo faceva già riferimento alla seconda parte come terminata; assieme alla prima, avrebbe dovuto essere subito ristampata dall'editore Penada, Giovan Battista e figli, di Padova (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 16.10.1786; ibid., Venezia 24.02.1787; i relativi ms della prima parte corretta e della seconda – molto diversa da quella poi pubblicata – erano tra le carte perdute di Memmo); Penada pubblicò però solo le 'Riflessioni sopra alcuni equivoci sensi … in difesa del fu Padre Lodoli' (Padova 1788), scritte in forma anonima da Memmo, in risposta a un testo di Pietro Zaguri ('Orazione recitata nella pubblica veneta accademia di pittura, scultura ed architettura, il dì 28 settembre 1787 nella quale si criticano i princìpii dell'architettura lodoliana', Venezia 1787). Nel 1791, il secondo volume degli 'Elementi' era comunque ancora tutto da rivedere in base alle nuove carte (lettera di Memmo a Comolli, 21.11.1791; trascr. in: Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. IV, 77n).
[9]
Nel 1787 ebbe luogo il fortuito ritrovamento delle carte di Lodoli nel Convento di S. Francesco in Vigna a Venezia che, come è noto, rese necessario sospendere la pubblicazione dell'opera completa ("tempo vi vorrà non poco dovendo render almen conto de' sommi capi che [Lodoli] originalmente trattò e che veramente sono assai, come in qualche modo saprete, sparsi"; Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Venezia 24.02.1787). Al resoconto del ritrovamento che presenta Memmo negli 'Elementi' si debbono aggiungere le notizie che egli ne dà a Perini ("molti scritti trovati a caso sotto una scala del mio Lodoli", Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Venezia 10.02.1787; altrove: "Son troppo occupato in cose gravissime per non poter decifrare gli scartafacci trovati a forza di diligenza sotto una scala in un forziere chiuso del nostro Lodoli"; ibid., Venezia 24.02.1787). Il "Ristretto di quanto si contiene in fasci manoscritti… che trovaronsi negletti…", era tra le carte perdute di Memmo (Gabbrielli: Teoria architettonica). Sulla figlia di Andrea, Lucia che curò l'edizione postuma degli 'Elementi' (Andrea Memmo: Elementi dell'architettura Lodoliana… Edizione corretta e accresciuta dall'autore, vol. 2, Zara 1833-34), alcune notizie sono nella biografia della sorella: G. J. Fontana: Biografia di Paolina Martinego dalle Palle, figlia di Andrea Memmo, Nozze Caragiani-Martinego, Venezia 1868.
[10]
Seguendo la corrispondenza di Memmo con G. Perini, se ne evince che il piano dell'opera, poi modificato, prevedeva una raccolta di apologhi già nel primo volume: "Vi dirò che ho mutata l'idea dell'opera, e che in luogo dar un saggio d'apologhi darò un secondo volume tutto d'Apologhi morali riservando gl'architettonici al primo, ove scriverò la vita di Lodoli, ed il suo i… [illegibile] sull'architettura scritto a modo di trattato" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, 02.10.1784). A. M. Gabbrielli, in base alle carte perdute di Memmo (cfr., sopra, nota 6), indica che l'ordine dei volumi pubblicati fu da Memmo stabilito dietro i consigli di M. Cesarotti e C. Sibiliato (Gabbrielli: Teoria architettonica; cfr., infra, nota 23).
[11]
'Apologhi, immaginati, e sol estemporaneamente in voce esposti agli amici suoi dal fu Fra' Carlo Lodoli…', Bassano 1787: furono fatti stampare da Memmo "in luogo degli altri sonetti in mia lode" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Venezia 26.09.1787), usualmente pubblicati in occasione dell'accessione al titolo di Provveditore. Alla redazione degli 'Apologhi', ha collaborato il fratello Bernardo; Memmo così commenta: "vi dirò che assai poche parole potete aver veduto del nostro Bernardo, il qual appunto prese uno stile conciso e forte dal Lodoli, se non che quando mi fossi prevaluto di quelli che mandommi dettati da lui, nessun avrebbe riconosciuto più né il Lodoli, né Andrea" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Venezia 22.12.1787; Bernardo aveva spedito i relativi materiali ad Andrea tre anni prima: ibid., Roma 18.09.1784 ). Perini così ne parla a terzi: "E' qualche tempo che dovevo raccomandarvi gli opuscoli che vi mando. Gli autori sono tutti amici miei: la "Luna d'Agosto" per vostra regola è del Cesarotti (…) Gli "Apologhi lodoliani" sono scritti per la maggior parte dal veneto patrizio Bernardo Memmo" (Archivio di Stato, Firenze, Acquisti e doni, filza 97, inserto 1, sd, destinatario sconosciuto).
[12]
Cfr. ivi nota 6.
[13]
Aggiunge inoltre: "Né ho voglia, né ho tempo, né posso, dopo trenta anni che sono lontano da' studj relativi, mettermi a un tal cimento" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 15.05.1784; Torcellan: Una figura della Venezia, 183; parziale trascrizione di altre lettere connesse agli 'Elementi', ibid., 183-194).
[14]
F. Haskell: Mecenati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell'età barocca, Firenze 1966 (London 1963); ed. cons. Firenze 1981, cap. 15, par. 2; M. Brusatin: Venezia nel Settecento: stato, architettura, territorio, Torino 1980, cap. V, 101-139.
[15]
F. Algarotti: Saggio sopra l'architettura, in: F. Algarotti: Opere varie del conte F. A. Ciambellano di S. M. Re di Prussia …, tomo 2, Venezia 1757. Nella seconda edizione, pubblicata dopo la morte di Lodoli (1761), il testo è stato ampiamente rivisto dall'autore: il padre è citato esplicitamente per nome; nelle note, figura il testo di Laugier (M. A. Laugier: Essai sur l'architecture, Paris 1755); in generale, le posizioni lodoliane risultano fortemente attenuate. Sul ruolo di Memmo nell'impresa di Algarotti: Memmo: Elementi di architettura 1833-34, vol. 1, 31-32.
[16]
T. Bertele: Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli e le sue antiche memorie, Bologna 1932; Torcellan: Una figura della Venezia, 153-155, fig. 5; Brusatin: Venezia nel Settecento, 127.
[17]
Haskell: Mecenati e pittori, 554-56; Brusatin: Venezia nel Settecento, 119-125.
[18]
Così Memmo riferisce in merito: "gli dissi che giunto in un Paese ove tanti erano i buoni professori di Prospettiva, volendo fare in un medesimo foglio o in più fogli estender la mia idea nel suo totale, onde se arrivasse la morte mia fra poco tempo, potrebbero vedere i Padovani come io pensassi per render più singolare quel luogo, gli chiedevo il permesso di presentargli un tal disegno allorché fosse eseguito, non come al papa, ma come ad un Gran Genio fornito di intelligenza e di gusto onde averne il suo parere (…) Accordommi quanto chiedevo. Si fece il disegno (piuttosto male), ma pur glielo feci subito tenere. Lo accolse volentieri, lo fece attaccare dirimpetto il luogo ove siede a tavola, l'esaminò, lesse la descrizione, e la spiegazione de' membri con somma diligenza, e potemmo poi parlarne per una grossa mezzora". (Archivio di Stato, Ad 94-147, Roma 27.03.1784).
[19]
Sull'esposizione del disegno di Subleyras e la successiva trasposizione in incisione di F. Piranesi, cfr. V. Radicchio: Descrizione della generale idea concepita, ed in gran parte effettuata dall'ecc.mo signore Andrea Memmo … sul materiale del Prato, che denominavasi della Valle, Roma 1786, 3. La paternità di questo volumetto nel catalogo dei libri appartenuti a Cicognara (Catalogo ragionato dei libri d'arte e d'antichità posseduti dal conte Cicognara, Pisa 1821, vol. II, n. 4276) è curiosamente attribuita a Lodoli: "Questa è una dotta e singolare operetta anonima sempre satirica del Padre Lodoli, che sostenne il lodevole progetto del Memmo contro mille divergenti opinioni"; in una lettera scritta da Memmo all'editore Bodoni è invece così presentata: "scritta da un mio amico, che la volle stampata prima della mia partenza (Biblioteca Palatina, Parma, Carteggio Bodoni, Roma 02.09.1786).
[20]
A. Busiri Vici: Andrea Memmo, ambasciatore di Venezia a Roma, in: 'Strenna dei romanisti', 1974, 121-128; del quadro di Giuseppe Pirovani, non è specificata la proprietà o la collocazione. Nella 'Memoria delle piture' di Angelica Kauffman, nel maggio 1786 è citato un suo ritratto "in formato ovale" [C. Knight (a cura di): La 'Memoria delle piture' di Angelica Kauffmann, Roma 1998, n. 111], ora al Museo Correr, Venezia.
[21]
"Il mio libro è già terminato. Or si sta copiando, non so però se lo stamperò mai. Gran curiosità in Roma per vederlo!" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 2.07.1785); "La mia opera lodoliana è già terminata, e son contento d'averla fatta. Io non sarò un Platone, ma sono certo che il Socrate architetto sarà dissotterrato; ma credo di sì perché l'ho fatto ad oggetto che il Lodoli sia conosciuto più che fra pochi in Venezia" (ibid., 23.07.1785).
[22]
"A quest'ora il mio primo libro dell'architettura lodoliana sarà stampato, ma convien attendere che s'asciughino i fogli per farlo legare" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Napoli 07.02.1786). Memmo non ne fu contento: "Uscito finalmente da questi torchi [Stamperia Pagliarini] il mio libro pieno di errori e persin con due colori di carta" (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 1376, lettera a C. Giacomazzi, 13.05.1786). Anche in una lettera al celebre editore Bodoni, Memmo si lamentava della qualità dell'edizione (Biblioteca Palatina, Parma, Carteggio Bodoni, Roma 02.09.1786); lo stesso in una lettera all'amico Gian Maria Ortes (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Codd. Cicogna, nn. 3197-3198bis, 22.04.1786). Il libro è agli inizi distribuito dall'autore; in molti casi Comolli riferisce che si tratta di copie con correzioni a mano, come quella in suo possesso (Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. IV, 82). In Biblioteca del Museo Correr, Ms Cicogna 3351/34, 3042, sono conservati quattro fogli ms di errata del testo; una copia con disomogenea colorazione della carta è stata da noi reperita in Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, 385.D.80.
[23]
Il fratello Bernardo "entusiasta del Lodoli", ne diede un parere positivo – "da qualche parola in fuori, tutto piacque, come a due o tre confidenti suoi"; Angelo Querini, "non ne fu molto persuaso per timore che non essendovi quelle erudizioni che in or sogliono piacer, non fosse il libro approvato"; quest'ultimo "vorrebbe che dilazionassi [la pubblicazione] sino al mio ritorno, per passar seco quanto scrissi in rigoroso esame" (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Epistolario Moschini, lettera a M. Cesarotti, Roma 23.04.1785). A Melchiorre Cesarotti e Clemente Sibiliato, Memmo aveva invece chiesto pareri circostanziati: "se avete cose da aggiungere l'un e l'altro, aggiungete, e indicatemi quali cose levareste di quelle che meno, altri interesserebbero, o divertirebbero" (ibid.); le loro risposte, da Memmo o dai suoi eredi rilegate insieme alla prima versione degli 'Apologhi' lodoliani, sono perdute (in: Gabbrielli: Teoria architettonica, si fa riferimento a un ms di pagina 21; sul loro contenuto, cfr., sopra, nota 10). Deludente invece Ippolito Pindemonte, che ne scrisse ad Amaduzzi, solo dopo la pubblicazione del libro, nel maggio 1786: "(lasciando stare il fondo della materia che può dar luogo ad infinite e non lievi questioni, massime finché non s'è stampato il secondo tomo) mi parve scritto con molta erudizione, con filosofia e con ingegno" (Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone, volume 28, c. 204, Venezia 06.05.1786).
[24]
Archivio dell'Accademia di San Luca, Roma, Libro dei decreti, vol. 54, 3 aprile 1785, c. 60r.
[25]
Ibid., 1 maggio 1785, c. 60v. Il volume, rilegato, donato da Memmo è intitolato: 'Piano generale per una Accademia sopra le belle Arti del Disegno esposto in una Lettera diretta a S. E. M. Lorenzo Morosini K[avalie]r Proc[urato]r di S. Marco, e Riformatore dello Studio di Padova da Andrea Memmo Patrizio Veneto. Copia fatta in Roma 1783' (Archivio dell'Accademia di San Luca, Roma, vol. 34, già 220); tale 'Piano', di pagina 251, è in corso di pubblicazione per cura di Maria Giulia Barberini, Angela Cipriani e Susanna Pasquali. Una seconda copia del 'Piano' sarebbe stata da Memmo donata all'Accademia del Disegno di Firenze quando ne divenne membro: la notizia è in una sua lettera a Perini, vice segretario (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Venezia 10.02.1787); presso l'Archivio dell'Accademia non vi sono però documenti al riguardo, oltre la sua nomina (L. Zangheri: Gli Accademici del Disegno. Elenco cronologico, Firenze 1999, 183; ringrazio il prof. Zangheri per l'interessamento).
[26]
Archivio di Stato, Ad 94-147, Venezia 24.02.1787.
[27]
Nel settembre 1782 Pio VI aveva criticato la gestione dell'Accademia (M. Missirini: Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca …, Roma 1823, 270-276).
[28]
Concorso Balestra 1786, 'Una fabbrica per uso dell'Accademia del disegno …', primo premio assegnato a Mario Asprucci (Archivio dell'Accademia di San Luca, Roma, Disegni di architettura, nn. 1091-1098; P. Marconi / A. Cipriani / E. Valeriani: I disegni di architettura dell'Archivio Storico dell'Accademia di San Luca, Roma 1974); il tema era stato proposto da Bracci alla fine del 1784 (Archivio dell'Accademia di San Luca, Roma, Libro dei decreti, vol. 54, 5.12.1784, c. 56v). Dal confronto tra l'accurata descrizione degli spazi descritti nel bando e il testo di Memmo, può – secondo noi – assumersi un rapporto tra il 'Piano' di Memmo e questo tema di concorso.
[29]
V. Farinati: Andrea Memmo: Elementi dell'architettura Lodoliana, in: Querini Stampalia. Un ritratto di famiglia nel Settecento, cat. mostra, Venezia 1987, 213.
[30]
Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768), allora Segretario dell'Accademia di Parma è ivi citato come vivente; si rimanda comunque all'edizione integrale del 'Piano' per la totalità dei riferimenti.
[31]
Per il ruolo di Lorenzo Morosini nella vita politica di Venezia, cfr. G. Tabacco: Andrea Tron e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, 2. ed., Udine 1980, 162-167; Torcellan: Una figura della Venezia, 56, lo ascrive, in compagnia di Bernardo Memmo, nel partito "rivoluzionario". Ha ricoperto la carica di Riformatore dello Studio di Padova più volte, dal 1759 al 1773.
[32]
G. Fogolari: L'Accademia veneziana di pittura e scultura nel Settecento, in: L'Arte XVI (1913), 241-272; 364-398; E. Bassi: L'Accademia di Belle Arti di Venezia nel suo bicentenario, Venezia 1950.
[33]
Nel 1772-73, Memmo, in qualità di Deputato straordinario sopra la regolazione delle arti, si è occupato con G. Diedo e P. Valmarana di una possibile riforma della corporazione degli artisti (A. Sagredo: Sulle consorterie delle arti edificative, Venezia 1854, 199-225; Torcellan: Una figura della Venezia, 85-109; Haskell: Mecenati e pittori, 502-03; Brusatin: Venezia nel Settecento, 124-125). Il foglio autografo di Memmo, datato da Haskell verso la fine degli anni '60 e da lui posto in relazione a questo compito, può essere messo più utilmente al confronto con il 'Piano', del quale costituisce – secondo noi – un evidente materiale preparatorio (Archivio di Stato, Venezia, Inquisitoria alle Arti, b. 15, fasc. 6; Haskell: Mecenati e pittori, app. 6, 595-96).
[34]
A tali tardive e note critiche (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 25-27; Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. IV, 297-298; cfr. ivi anche nota 68), si contrappone quanto lo stesso Memmo scriveva invece nel suo 'Piano': sull'architettura "Molti belli argomenti ne accenna il sig. conte Francesco Algherotti nel suo saggio sopra l'architettura, ultimamente stampato" (Memmo: Piano, 214, nota 1).
[35]
Sull'utilità delle accademie, in risposta alla celebre polemica di Voltaire: Histoire du siècle de Louis XIV, La Haye 1752, egli cita un lungo brano dalla lettera che, al proposito, Algarotti aveva pubblicato nel 1763 (Memmo: Piano, 166 e 168n; F. Algarotti: Saggio sopra l'Accademia di Francia che è in Roma, Livorno 1763).
[36]
Filippo Vincenzo Farsetti, allievo di padre Lodoli (Memmo: Elementi di architettura 1786, 60), aveva, come è ben noto, già costituito la sua celebre collezione a Venezia e ne dava libero accesso agli artisti (N. Dalle Laste: De Musaeo Philippi Farsetti patricii Veneti epistola ad clarissimam Cortonensium, Venetiis 1764). Il suo ruolo a Roma deve ancora essere ricostruito, ma certo è che intratteneva rapporti molto stretti con i Colonna e gli Orsini di Gravina; la sua casa, nelle adiacenze di San Silvestro al Quirinale, fu successivamente abitata da de Azara.
[37]
Esemplare è il passo, ove Memmo dichiara: "Così avvenisse che egual fama avessero i quadri di tanti nostri rinomati Pittori, come singolarmente la godono quei di Tiziano, e di Paolo [Veronese] che dagl'esteri Stati entrar si vedrebbero nel nostro maggiori somme di danaro; ma ciò, che dai Princìpi, dagl'Intendenti, e da' ricchi dilettanti si cerca, e s'acquista a caro prezzo è sopra tutto il perfetto disegno, onde ne viene, che esclusi que' due illustri autori ed alcun altro per avventura, si comprano qui da Forastieri in maggior copia i quadri delle altre Scuole, che si trovan fra noi, e lasciansi que' della nostra e poche ordinazioni ora ne vengono fuori di Stato, in confronto di quelle, che continuamente ne vanno a Roma, a Firenze, ed a Bologna" (Memmo: Piano, 9-10).
[38]
J. B. De Alembert: Discours préliminaire …, Paris 1751, in: D. Diderot / J. B. De Alembert (a cura di): Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Paris 1751- 1765.
[39]
"non sarebbe meno utile l'aggiungere la cognizione della [lingua] Francese, non traducendosi così facilmente nella nostra i buoni libri che escono da questa nazione sull'Architettura civile, e Militare, ovvero su la Topiaria, o sia Architettura de' giardini, e sopra gli ornamenti interni di qualunque maniera, ed altre cose simili" (Memmo: Piano, 208-209). Il rifermento all'arte dei giardini ha rapporti diretti con Lodoli ("Amò molto la topiaria … preferendo quella che a' tempi suoi fu particolarmente introdotta dagl'Inglesi" [Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 84], ma poteva essere conosciuta da Memmo anche attraverso la pubblicistica francese (cfr. la voce 'Jardin' dell'Encyclopédie, vol. VIII, 1765). Il riferimento è comunque assai precoce rispetto al panorama finora ricostruito dell'Italia di quel periodo (M. Azzi Visentini: Il giardino veneto tra Sette e Ottocento e le sue fonti, Milano 1988; M. Azzi Visentini: L'arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo, Milano 1999, vol. 2, Prefazione, 16-22).
[40]
In riferimento a una compagnia teatrale francese, scriveva: "chi, educato in questi ultimi tempi, ha facilmente imparato la lingua francese, e quasi nuovo al Mondo, può gustar di cose nuove" (Tabacco: Andrea Tron, 52). Interi articoli dall'Encyclopédie (tra le quali le voci 'Art', 'Commerce' e 'Concurrence' del 1751-53) furono da lui tradotti personalmente (Archivio di Stato, Venezia, Inquisitorato alle arti, b. 9; Torcellan: Una figura della Venezia, 85-109). Memmo non era tuttavia isolato: "Déjà la langue française est autant ou plus connue en Italie que l'Italienne en France. Beaucoup de personnes des deux sexes la parlent, et presque tous les gens de Lettres l'entendent" ('Supplément à la Gazette Littéraire de l'Europe', n. 64, 3 mars 1765, 350).
[41]
Cfr. la questione, posta nel 1763-64, relativa all'insegnamento della 'architettura prospettica', contrapposta a quella 'positiva, o statica' (Archivio di Stato, Venezia, Riformatori, b. 538; Fogolari: L'Accademia veneziana, 369; G. Brunetta: Gli inizi dell'insegnamento pubblico dell'architettura a Padova e a Venezia. Cronaca e storia, Padova 1976).
[42]
Cfr. i capitoli: 'Come ordinariamente sogliano formarsi gli Architetti ora in Venezia' (Memmo: Piano, 13-18); 'Difetti che si attribuiscono ai Moderni Professori' (ibid., 194- 198).
[43]
Nel primo anno Memmo prevedeva: Aritmetica pratica, Geometria pratica e Sezioni coniche; nel secondo: Statica, Meccanica, Idrostatica e Idraulica (ibid., 198-202). La "scienza delle sezioni coniche" era, secondo Memmo necessaria allo studio della stereotomia, della quale dà una descrizione tratta da Algarotti: Saggio sopra l'architettura. La stereotomia era nota allora in Italia soprattutto attraverso la trattatistica francese: J. B. de La Rue: Traité de la coup des pierres…, 1. ed., Paris 1728; A. F. Frézier: La théorie et la pratique de la coupe des pierres et des bois…ou traité de stéréotomie à l'usage de l'architecture, vol. 3, 1. ed., Strasbourg / Paris 1737-1739.
[44]
Nella presentazione del programma ("Dovrà il Maestro di questa Scuola notar le differenze tra gli usi degli Antichi, e que' de' Moderni, aggiunger ciò, che è stato scoperto dopo Vitruvio, e le stesse sue contradizioni, o caricature"; Memmo: Piano, 206-207) si riconosce il forte debito dell'edizione di Vitruvio curata da Perrault e stampata nel 1663 e 1773. Cfr. al proposito: S. Pasquali: Vitruvio per gli architetti: mercato editoriale e insegnamento dell'architettura nel Settecento in Italia. Un testo di Andrea Memmo e alcuni disegni autografi di Giovanbattista Cipriani, in: Atti del Convegno internazionale 'Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna', Genova 5-8 novembre 2001 (in corso di stampa).
[45]
Memmo: Piano, 194. L'asserzione più che riferirsi al pensiero di Lodoli, potrebbe far riferimento al dibattito sul bello in architettura, così come era presentato nell'Encyclopédie (W. Herrmann: Laugier and eighteenth century French Theory, London 1962, cap. 3).
[46]
Ibid., 196.
[47]
[Mengs A. R.]: Opere. A. Raffaello Mengs su le belle arti publicate dal cavaliere Giuseppe Niccola D'Azara, Parma 1780; 2. ed., Bassano 1783.
[48]
Cfr. S. Pasquali: Francesco Milizia tra Giovanni Bottari e Nicolas De Azara: la "Roma delle belle arti", in: Francesco Milizia e il Neoclassicismo in Europa. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Oria novembre 1998, Bari 2000, 245-272.
[49]
S. Roettgen (a cura di): Mengs. La scoperta del Neoclassico (catalogo della mostra Padova, Fondazione Palazzo Zabarella 2001), Venezia 2001, schede 10 e 11.
[50]
Il doppio busto, corredato da iscrizioni su entrambe le parti, fu scoperto nel 1742 e collocato nel Museo Capitolino: [G. G. Bottari]: Del Museo Capitolino, vol. I, Roma 1741, tav. V, 12; P. Liverani / M. R. Russo (a cura di): R. Lanciani: Storia degli scavi…, vol. VI, Roma 2000, 133.
[51]
Nel dicembre 1783, Memmo partecipò ad un ricevimento offerto da de Azara, nel quale figurava anche il principe Chigi (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 2481, lettera ad Andrea Alberti, residente veneto a Napoli, 26.12.1783). De Azara nel corso del 1786 doveva ricevere in dono il progetto del Prato di Valle, nella stampa di Piranesi e nella relazione di Radicchio, nonché una copia degli 'Elementi' - corretta di pugno dell'autore, come tutte quelle da lui distribuite (Bibliotheca Ecc.mi DD. Nicolai Josephi de Azara … æstimata a Mariano de Romanis, Roma 1806).
[52]
S. Pasquali: Francesco Milizia, 246-251.
[53]
[Memmo A.]: Riflessioni, 42; Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. IV, 76-77, nota 9. Altrove egli dichiarava di rivolgere il suo discorso a "un padre Jacquier, ad un abate Mascheroni, ad un padre Paoli, ad un professor Amaduzzi, ed a altri simili; i quali liberi la mente da qualunque assuefazione e affetto, o solo semplici ragionatori avvezzi a calcolare sopra chiare e consecutive idee, possono ricevere di nuove e passarle" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, parte II, 33).
[54]
La approvazione agli 'Elementi', datata 30 gennaio 1786, è stata firmata da D. Pierluigi Galletti e Paolo Antonio Paoli, quest'ultimo 'presidente dell'Accademia Nobile Ecclesiastica'.
[55]
'Effemeridi Letterarie', XXI, 27.05.1786, 161-165; XXII, 03.06.1786, 169-173. Residente a Roma dal 1762 sino alla morte, Amaduzzi ha collaborato in forma anonima alle 'Effemeridi letterarie'; era in sicuro contatto con de Azara; era inoltre, come Milizia, in contatto con Scipione de Ricci e la sua cerchia (A. Fabi: ad vocem, in: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Roma 1961); cfr., inoltre, infra, nota 58.
[56]
La sua documentata amicizia con de Azara, nonché la presenza del suo nome nei testi di Milizia come 'amico' ha luogo mentre stava lavorando alla sua celebre 'Histoire de l'art par les monumens, depuis sa décadence…' (Paris 1811-1823). Memmo parla della "attesa opera del mio signor cav. d'Azincourt, gentiluomo francese già noto nella repubblica letteraria pel rinnovamento e nuovo progresso delle arti" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, parte II, 141).
[57]
Ibid., 206, nota 1. Nel 1787, O. Boni dedica un libro a Batoni, includendovi la descrizione del ritratto che Memmo aveva fatto fare da lui alle figlie (O. Boni: Elogio di Pompeo Girolamo Batoni, Roma 1787).
[58]
La poetessa Maria Maddalena Morelli Fernandez fu coronata in Arcadia, ove aveva il nome di Corilla Olimpica, e quindi il 31 agosto 1776 in Campidoglio; quest'ultima cerimonia, promossa dal principe Luigi Gonzaga di Castiglione, assunse tra i promotori e i partecipanti un forte significato antigesuitico (A. Ademollo: Corilla Olimpica, Firenze 1887). Dieci anni dopo, nella rete dei rapporti epistolari, può ancora ricostruirsi il gruppo di quanti a Roma erano stati legati alla vicenda: l'abate Angelo Goudar, già curatore di un testo di Gonzaga di Castiglione ('Il Letterato buon cittadino…', Roma 1776) e l'abate Amaduzzi, che a Gonzaga dedicò nello stesso anno un suo testo ('Discorso filosofico sul fine e utilità delle accademie'). Entrambi entrarono in contatto con Memmo: il primo quale revisore del suo testo (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 23.07.1785), l'altro – da Memmo definito "mio carissimo amico" – fu tramite di un rapporto di Memmo con Corilla stessa (Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone, Corrispondenza Amaduzzi, vol. 28, cc. 63-66; le quattro lettere di Memmo conservate, febbraio 1787 - marzo 1788, documentano uno scambio epistolare con Corilla, attraverso l'interposta persona di Amaduzzi, da Memmo comunque definito "mio amatissimo amico").
[59]
Vincenzo Lamberti, già a lui noto come autore della 'Statica degli edifici' (Napoli 1781), lo incontrò a Napoli nel 1786: "desideravo di conoscere personalmente questo benemerito soggetto, sicché colà giunto mi fu facile di ottenerlo, divenuti essendo fra poco amicissimi" (Andrea Memmo: Semplici lumi tendenti a render cauti i soli interessati nel Teatro da erigersi nella Parrocchia di S. Fantino …, sl. sd. 1792ca, 81). Lamberti gli diede una copia di un suo testo manoscritto sul teatro (ibid.) e quando lo pubblicò nel 1787 provvide a ringraziarlo dei consigli ricevuti nella prefazione (V. Lamberti: La regolata costruzione dei teatri, Napoli 1787).
[60]
I tre monti araldici Albani, posti in cima alle colonne della tribuna all'interno del Pantheon, scambiati per quelli Chigi, sono occasione per Memmo di ricordare il suo "pregiatissimo padrone ed amico prìncipe don Sigismondo Chigi, gran promotore delle belle arti ed ornatissimo" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 243).
[61]
Cfr. le lettere di Sigismondo Chigi, 1782-83, in Biblioteca Palatina, Parma, Carteggio Bodoni, ad vocem; S. Pasquali: Francesco Milizia, 257-258, nota 48.
[62]
"Ma qualunque possa essere il modo di pensar suo privato, che non m'è abbastanza noto per non aver mai avuta la fortuna ch'egli a me si avvicinasse" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, vol. I, 152-154, nota 1; ibid., 153, Milizia è definito: "colonnello comandante" del "reggimento de' filosofi architetti").
[63]
Avrebbe promosso, secondo Memmo, la nota edizione del rilievo delle Logge di Raffaello, affidate all'incisore Giovanni Volpato, trasferitosi nel 1772 da Venezia a Roma per quell'incarico (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 31, nota 1); nel 1772 era stato incaricato di una nuova edizione di certe stampe delle Terme di Diocleziano del Cinquecento ('Chracas', 20.07.1772; Biblioteca dell'Istituto di Archeologia e di Storia dell'arte, Roma, Ms Lanciani, 115, 51). Bonaiuti è stato a Roma presso l'ambasciata veneta, almeno dal 1775 al 1793, a sostituzione di tal arciprete Antonio Pinelli, in qualità di 'agente spedizioniere' delle lettere apostoliche (la carica era stata istituita nel 1772); quanto ne riferisce Canova è noto dai suoi 'Quaderni' romani.
[64]
S. Pasquali: Francesco Milizia, 256-258.
[65]
Nella corrispondenza con Camillo Giacomazzi, già suo segretario in Costantinopoli e ivi rimasto in servizio del successore Zulian, Memmo annuncia la pubblicazione del libro (lettera del 01.05.1786, Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 1376, n. 32); la lettera successiva accompagna l'invio delle copie. Per "le mie nuove", Memmo fa però riferimento a un'altra "lunga lettera" - da noi non reperita - che egli avrebbe spedito direttamente al Bailo Zulian. Visti i noti rapporti tra Zulian e Milizia, nonché il contenuto del libro spedito, è probabile che questa lettera, qualora reperita, possa dire di più sui rapporti diretti tra Memmo e Milizia, altrimenti affidati alla deduzione più o meno ingegnosa. C'è anche da notare che Subleyras e F. Piranesi, i due artisti impiegati nel 1786 da Memmo per la sua pubblicazione dedicata al Prato di Valle, avevano già lavorato per Zulian nel 1779 in occasione di un apparato per la sede romana dell'ambasciata (M. Azzi Visentini: Giardino veneto, 206).
[66]
Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 76.
[67]
Lettera di A. Memmo a G. Perini, Roma 22.06.1784 (Archivio di Stato, Ad 94-147; Memmo: Elementi di architettura 1786, 21).
[68]
Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 31; in riferimento a: F. Algarotti: Opere del conte A. …, tomo VII, Pisa 1764 e Cremona 1778. Il tardivo risentimento di Memmo contro Algarotti è secondo noi evidente nella sola edizione postuma degli 'Elementi', dove un intero capitolo (vol. 3, 5-48; Torcellan: Una figura della Venezia, 185, nota 12) è dedicato alla confutazione delle sue opere lodoliane.
[69]
Il notissimo brano, prosegue pure adombrando la possibilità "ch'egli nella sua gioventù l'avesse inteso ragionare, allorché trovavasi a Padova alunno di quella celebre università; il che però credo non sia avvenuto" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 110); tale possibilità è stata esclusa nel recente convegno dedicato a Milizia (Francesco Milizia …, cit.).
[70]
Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 22.06.1784.
[71]
Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 02.10.1784.
[72]
Biblioteca del Museo a Correr, Venezia, Misc. LXIX, vol. 2481, lettera ad A. Alberti, Roma 29.10.1784.
[73]
Dalle lettere di Memmo del 1, 22 e 29 ottobre 1784 ad A. Alberti (ibid.) è ricavabile il seguente elenco. Già possiede i libri italiani di: Carletti, Lamberti, Galiani (Vitruvio). Non ha ancora i testi di: M. Gioffredo; "P. Decke" (P. Decker: Fürstlicher Baumeister oder: Architectura Civilis, Augsburg 1711-1713); "De Vingbons" (P. Vingboons: Oeuvres d'architecture contenat les desseins … des principaux et des plus noveaux bâtimens dans les agrandissement de la Ville d'Amsterdam …, Leyde 1715). Intende acquistare le ultime edizioni di : "Bullet" (P. Bullet: L'Architecture pratique…, 1. ed., Paris 1691); "D'Aviler" (C. A. D'Aviler: Cours d'architecture…, 1. ed., Paris 1696); "Blondel" (F. Blondel: Cours d'architecture…, Paris 1675; Dictionnaire d'Architecture…, 1. ed., Paris 1693); "Briseux" (C. E. Briseux: Traité du beau essentiel…, Paris 1752). Chiede inoltre: C. Perrault: Le dix livres d'architecture de Vitruve…, 2. ed., Paris 1673, e J. D. Le Roy: Les Ruines des plus beaux monuments de la Grèce…, 2. ed., Paris1770.
[74]
A. Cavallari Murat: Bibliografia sistematica di Comolli, in: id.: 'Come carena viva. Scritti sparsi', Torino 1982, vol. 5, 559-565; non è tuttavia messo in evidenza il ruolo di Memmo.
[75]
Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. I, p. VII; una prova della nostra ipotesi è il fatto che Comolli ha steso, per gli 'Elementi' di Memmo, l'indice delle materie (cfr., sopra, nota 7).
[76]
L'abate Comolli muore prima di aver terminato l'opera; la sezione relativa alla storia dell'arte è completata nel vol. IV; manca quella riferita alla storia degli artisti. E' secondo noi possibile che, nel testo di Memmo, molti brani ove compaiono estesi riassunti di libri interi siano stati opera dell'abate.
[77]
Due sono i suoi scritti che tentò di recuperare: un dialogo e un gruppo di lettere. Sul dialogo: "Io scrissi un cattivo dialogo sulla sua vita, e sopra i suoi princìpi sull'architettura, né posso ricordarmi che l'abbia prestato, ed è in conseguenza perduto" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 27.03.1784); tale dialogo fu "scritto per una dama mia padrona [Giustiniana Wynne?], disegnatrice ed amante della civile architettura" (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 24). Sulle lettere: "presso a trenta anni fa ebbi una gran disputa col nostro abate Nicolini per via di lettere" (Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 15.05.1784). Memmo tentò, attraverso Perini, di recuperare quella antica sua corrispondenza: nel Nicolini citato è da individuare un amico comune, il marchese abate Antonio Niccolini, vissuto per qualche tempo a Venezia (Archivio di Stato, Acquisti e doni, filza 94, inserto 171, 5 lettere indirizzate a Giulio Perini, 1761-1766) nel frattempo defunto. Dopo aver ricordato varie volte a Perini la commissione presso gli eredi di Niccolini per avere indietro queste sue lettere giovanili, Memmo le avrebbe finalmente ottenute in copia. Non conosciamo però, tra le carte superstiti di Memmo, tali copie; una ricerca, autonoma, sulla sorte delle carte originali di Niccolini non è stata finora condotta. Notizie ulteriori - purtroppo oggi non controllabili - erano nei perduti mss Memmo di Treviso, ove poteva leggersi: che di tali lettere lo stesso Lodoli ne aveva una copia; che aveva provveduto a correggerle personalmente; che intendeva trarne lui stesso una edizione a stampa. Memmo pensava che una ulteriore copia potesse essere inoltre stata data da Niccolini al senese Pietro Sergardi (Gabbrielli: Teoria architettonica,124).
[78]
Memmo: Elementi di architettura 1786, 212. Veneziano, dal settembre 1785 divenne vescovo 'in partibus' nella sede di Belluno e quindi titolare (S. Alcaini: Omilia recitata … nella Sala del Palazzo Episcopale di Belluno, Belluno 1788; G. Moroni: Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, Venezia 1840-1861, vol. 23, 273).
[79]
L'unico libro di che portava l'esplicito titolo di 'Storia dell'architettura', era fino a quel momento la traduzione del primo volume vite degli architetti di J. F. Felibien (Paris 1687), pubblicata da G. Fossati a Venezia nel 1747.
[80]
P. A. Paoli: Lettera sull'origine ed antichità dell'architettura al ch. sig. Abate Fea …, in: J. J. Winckelmann: Storia delle arti del disegno presso gli antichi, a cura di C. Fea, vol. 3, Roma 1784.
[81]
Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 253; il brano è trascritto integralmente in: Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. I, 253-254, a ulteriore testimonianza dei rapporti tra Memmo e Comolli.
[82]
Archivio di Stato, Firenze, Ad 94-147, Roma 02.10.1784.
[83]
Gabbrielli: Teoria architettonica.
[84]
A. Cavallari Murat: I teorici veneti dell'Età neoclassica, in: Atti dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, 1963-64; id.: Congetture sul trattato di architettura progettato da Lodoli, in: Atti e rassegna tecnica della Società degli Ingegneri e Architetti, 1966 (anche in: id.: Come carena…, cit., vol 5, 310-327).
[85]
E. Kaufman jr.: Memmo's Lodoli, in 'Art Bulletin', n. 46, june 1964, 159-175; id.: Lodoli architetto, in: H. Searing (a cura di): In search of Modern Architecture. A tribute to Henry-Russell Hitchcock, Cambridge (Mass.) / London 1982.
[86]
Vitruvio, IV.2.
[87]
W. Herrmann: Laugier, cap. 3. Per la diffusione in Italia: l'opera di Laugier (M. A. Laugier: Essai) è esplicitamente citata nella seconda edizione del 'Saggio sopra l'architettura' di Algarotti (1764), ma il titolo stesso del testo di Algarotti, già utilizzato nella prima edizione (1757), implica una precedente conoscenza del libro francese. Una copia dell'edizione del 1755 era nella biblioteca di de Azara ([N. de Azara]: Bibliotheca) e, quindi, a disposizione di Milizia. Dalla lettura del testo di Memmo, se ne deduce che egli mise in diretto rapporto Laugier con Lodoli solo durante la stesura della seconda parte degli 'Elementi': dedicò un'ampia recensione al suo libro (Memmo: Elementi di architettura 1833-34, 343-347) e tentò di stabilire presunti rapporti diretti di Laugier con Lodoli (ibid., 344-345, nota 2).
[88]
Ibid., 204-205.
[89]
G. B. Piranesi: Della Magnificenza ed Architettura de' Romani …, Roma 1761; J. Wilton Ely: Piranesi. The polemical works: Rome 1757, 1761, 1765, 1769, Westmead (GB) 1972.
[90]
D. Mertens: I templi di Paestum nella prima storiografia dell'architettura antica, in: J. Raspi Serra (a cura di): La fortuna di Paestum e la memoria moderna del dorico 1750-1830, vol. I, Firenze 1986, nn. 50-54; S. Pasquali: L'Antico, in: G. Curcio / E. Kieven (a cura di): Storia dell'architettura italiana. Il Settecento, Milano 2000, 104.
[91]
Cfr. soprattutto il cap. 3, 'De' greci monumenti', ove il testo è costruito in base a lunghe recensioni di singoli libri (compilate, probabilmente, da Comolli), mentre le note altro non sono che un continuo ed esplicito confronto con le idee di Milizia. Nelle intenzioni di Memmo, il capitolo avrebbe dovuto presentare un'analisi delle singole architetture alla luce della critica funzionalista di Lodoli; di fatto si configurò piuttosto come un'entusiasta enciclopedia delle nuove acquisizioni in materia.
[92]
Soprattutto Comolli, recensendo il volume di Memmo, metteva in evidenza l'aperta sfida lanciata da Memmo a Milizia: a quest'ultimo, quando avesse letto la seconda parte allora inedita degli 'Elementi', non restava che "rinunziare ad alcuna delle sue dottrine, o di che potersi meglio munire per iscagliarsi contro i lodoliani princìpi" (Comolli: Bibliografia storico-critica, vol. IV, 69).
[93]
F. Milizia: Dell'arte di vedere nelle belle arti del disegno secondo i princìpj di Sulzer, e di Mengs…, 2. ed., Genova 1786, cap. 3; id.: Roma delle belle arti del disegno. Parte prima: dell'architettura civile, Bassano 1787, capitolo: Osservazioni su l'architettura di Roma antica, 105-110.
[94]
Un esempio è l'analisi del Colosseo: "E quanto più grandiosa [mole] , se invece di quattro ordini non fossero che tre, e a colonne isolate, e non archeggiate! E se a due soli ordini? Sublime. E senza colonne, e senza pilastri non sarebbe meglio? Si osservino que' corridori dove i pilono sono senza pilastri: quanto son belli!" (Milizia: Roma, 73).
[95]
"Qui non si parlerà di ruderi insignificanti, che si riducono a nomi, i nomi certo di cose grandi, ma nomi nudi che punto istruiscono" (Milizia: Roma, Prefazione); "godan pure di queste e di altre futilità quegli antiquomani, i quali non amano che lo spinoso e l'inutile" (ibid., 108).
[96]
Goethe ricorda che, intorno al 1787, l'architetto Aloys Hirt (1759-1836), residente in Italia dal 1782, era coinvolto a Roma in vivaci discussioni sull'architettura ("Il concetto fondamentale del nostro Hirt si basava sulla derivazione dell'architettura greca e romana dalle primitive e remotissime costruzioni in legno, e su questo fondava l'elogio o la critica dell'architettura moderna"), ma non ha indicato i nomi di altri partecipanti (J. W. Goethe: Viaggio in Italia, parte terza, seconda dimora a Roma dal giugno 1787 all'aprile 1788; ed. cons. Firenze 1980, 468-469). Difficile non pensare che il suo unico libro pubblicato in italiano a Roma (A. Hirt: Osservazioni istorico-architettoniche sopra il Pantheon, Roma 1791) non abbia avuto qualche rapporto con il pensiero di Milizia, o con quello di Lodoli, quest'ultimo per tramite di Memmo.
 

Appendice

Elenco in ordine cronologico delle lettere scritte e ricevute da Andrea Memmo, in riferimento agli 'Elementi', e loro collocazioni d'archivio
 
1784
Roma, 27.03.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197, n. 11)
 
Roma, 15.05.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197, n. 13)
 
Roma, 12.06.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 19.06.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 22.06.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 30.07.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 21.08.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 18.09.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 01.10.1784 di A. Memmo ad Andrea Alberti (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. LXIX, n. 2481)
 
Roma, 02.10.1784 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197, n. 21)
 
Roma, 06.10.1784 di A. Memmo a G. M. Ortes (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Codd. Cicogna 3197-3198bis)
 
Roma, 22. 10. 1784 di A. Memmo ad Andrea Alberti (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. LXIX, n. 2481)
 
Roma, 29.10. 1784 di A. Memmo ad Andrea Alberti (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. LXIX, n. 2481)
 
Roma 06.11.1784 di A. Memmo a C. Giacomazzi (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 1376)
 
1785
Roma, 23.04.1785 di A. Memmo a M. Cesarotti (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Epistolario Moschini)
 
Roma, maggio 1785 di M. Cesarotti a A. Memmo (Biblioteca Municipale, Treviso, mss 41.643-41.644, oggi perduti)
 
Roma, maggio 1785 di C. Sibiliato a A. Memmo (Biblioteca Municipale, Treviso, mss 41.643-41.644 , oggi perduti)
 
Roma, maggio 1785 di A. Querini a A. Memmo (perduta?)
 
Roma, maggio 1785 di G. Toaldo a A. Memmo (perduta?)
 
Roma, 30.04.1785 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 02.07.1785 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 23.07.1785 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 13.08.1785 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 17.09.1785 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
1786
Napoli, 07.02.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 22.04.1786 di A. Memmo a G. M. Ortes (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Codd. Cicogna 3197-3198bis)
 
Roma, 25.04.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 01.05.1786 di A. Memmo a C. Giacomazzi (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 1376)
 
Roma, 1786 di A. Memmo a G. Zulian (perduta?)
 
Roma, 13.05.1786 di A. Memmo a C. Giacomazzi (Biblioteca del Museo Correr, Venezia, Misc. Correr 1376)
 
Roma, 20.05.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 22.07.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Roma, 02.09.1786 di A. Memmo a G. B. Bodoni (Biblioteca Palatina, Parma, Carteggio Bodoni)
 
Roma, 16.10.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 09.12.1786 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
1787
Venezia, 10.02.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 24.02.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 25.05.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 26.09.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 27.10.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
Venezia, 22.12.1787 di A. Memmo a G. Perini (Archivio di Stato, Firenze, Ad, 94-197)
 
1791
Venezia, 21.11.1791 di A. Memmo a A. Comolli (Comolli: Bibliografia storico-critica, 76-77, nota b).
 

Autore

Dott.ssa Susanna Pasquali
Università Ferrara
Lungotevere Flaminio 46
00186 Roma
pss@unife.it

 

Empfohlene Zitierweise:

Susanna Pasquali: Scrivere di architettura intorno al 1780: Andrea Memmo e Francesco Milizia tra il Veneto e Roma, in: zeitenblicke 2 (2003), Nr. 3 [10.12.2003], URL: <http://www.zeitenblicke.historicum.net/2003/03/pasquali.html>

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