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  2 (2003), Nr. 3: Inhalt
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Loris Vedovato

La Villa Farsetti a Santa Maria di Sala presso Padova.
Influenze romane nell'ambito veneto

 
<1>
I legami con l’ambiente romano di un personaggio tra i più interessanti della cultura illuministica veneziana hanno reso possibile il sorgere in territorio veneto di una importante villa improntata sui nuovi valori estetici e sulle idee che nella seconda metà del Settecento si andavano maturando a Roma e che avrebbero portato alla nascita di un nuovo stile, il 'neoclassico'.
 
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fig. 1
 
<2>
Filippo Farsetti, committente della villa, era di famiglia nobile ed unico figlio del cavalier Antonfrancesco, il quale, assieme al fratello monsignor Nicolò Maffeo, era pressoché l’unico beneficiario dell’enorme fortuna formata dall’avo paterno soprattutto nei luoghi d’origine della famiglia (Massa e Carrara) e a Roma dove si era trasferito. Tra i vari immobili acquistati da Antonfrancesco vi era anche l’estesa tenuta di Sala nel Padovano, dove i nobili Contarini avevano realizzato nella seconda metà del Cinquecento un pregevole complesso edilizio, ampliato nel secolo seguente dallo spagnolo Agostino Fonseca con la costruzione di alcune adiacenze, ed al cui posto Filippo realizzò la propria villa (fig. 1).
 
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fig. 2
 
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Negli studi il Farsetti ebbe come insegnante Carlo Lodoli, noto per le idee innovatrici nel campo dell’architettura e per l’originalità in genere del suo pensiero. Dal suo insegnamento egli acquisì alcune qualità che avrebbero in seguito contraddistinto il suo modo di pensare e di agire, e cioè uno spirito aperto, libero, illuminato e generoso, doti che contraddistinsero anche altri discepoli del Lodoli, come Andrea Memmo ed Angelo Querini. Egli rifiutò le cariche pubbliche che ogni nobile veneziano era chiamato a ricoprire, per essere libero di dedicarsi completamente ai propri interessi nel campo delle scienze e delle arti e poter servire così a modo suo la patria. Tale scelta lo costrinse tuttavia in un primo tempo ad allontanarsi da Venezia, il che ebbe comunque per lui anche un risvolto positivo, in quanto gli consentì di viaggiare per l’Europa e soggiornare a lungo a Parigi le cui raffinatezze avevano conquistato le principali città; quindi, in seguito, a farsi abate, una condizione di comodo che lo esentava definitivamente dagli obblighi verso il governo.
 
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fig. 3
 
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I contatti con Roma sono invece da collegare principalmente con gli interessi economici che egli aveva nella città. Con la morte dello zio Maffeo, avvenuta nel 1741, egli aveva infatti ereditato, assieme ai due cugini Daniele e Tommaso Giuseppe, un capitale enorme costituito dalla secondogenitura, i cui beni erano in gran parte situati a Roma. Il suo obiettivo era quello di entrare in possesso della secondogenitura e di unirla alla ricca primogenitura che aveva ereditato alla morte del padre, avvenuta nel 1733, liquidando i due cugini con una pensione annua. Purtroppo la cosa gli riuscì soltanto in parte, in quanto entrò in possesso soltanto della somma, comunque molto consistente, di circa 96.000 scudi (dei 240.000 complessivi) e soltanto dopo una dispendiosa causa che durò quasi trent’anni. La necessità di recarsi a Roma, dove possedeva un palazzo a S. Silvestro al Quirinale, per occuparsi principalmente di questo affare, hanno dato l’occasione al Farsetti, da persona colta qual’era, di avere frequenti contatti con diverse personalità di spicco del mondo culturale e del potere, non solo romano, ma di tutta Europa. E’ verso la metà del Settecento che Roma vive un momento di intenso fermento culturale, dovuto alle nuove idee che si andavano maturando nel campo dell’arte, legate ad un modo diverso di pensare e ad una nuova sensibilità propri del razionalismo settecentesco. In un secolo infatti in cui ogni aspetto della realtà veniva sottoposto all’esame della ragione, l’arte non poteva sfuggire a tale controllo, dovendo sottostare anch’essa a delle regole, le regole del bello.
 
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fig. 4
 
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La riscoperta del mondo classico è dovuta alla convinzione affermata nei circoli letterari, negli artisti e nelle persone erudite in genere, che queste regole erano già state scoperte ed applicate molti secoli prima dagli artisti greci, le cui opere ed i cui principi si erano diffusi in tutto il mondo romano antico. L’entusiasmo che seguì a tale riscoperta coinvolse un po' tutti: letterati, artisti, gli uomini eruditi in genere, contagiando anche il Farsetti che aveva già dato alcuni anni prima prova del suo amore per l’arte e del suo mecenatismo, sottoscrivendo la grande opera degli Zanetti dedicata alle antiche sculture esistenti nelle collezioni veneziane. Egli fece eseguire le copie in gesso delle principali sculture non solo antiche ma anche di quegli artisti, dal rinascimento in poi, che si erano tenuti all’insegnamento degli antichi, come Michelangelo, Bernini, Giambologna, Duquesnoy; fece eseguire inoltre le copie dei dipinti più significativi, soprattutto di Raffaello, definito da Winckelmann il "dio degli artisti", e ad acquistare schizzi e bozzetti originali, con il proposito di fondare a Venezia un’Accademia di Disegno dove i giovani artisti potessero raggiungere la perfezione nell’arte. [1]
 
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fig. 5
 
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Il nuovo gusto influì anche sul carattere e sull’organizzazione della villa che egli aveva in mente di realizzare nella tenuta di Sala, il cui progetto, affidato al maggiore architetto allora operante a Roma, il senese Paolo Posi, è da ritenere sia stato elaborato principalmente durante il soggiorno romano del 1749 -1753. In questo stesso periodo il cardinale Alessandro Albani, persona molto colta e grande collezionista di reperti e opere d’arte antiche, mosso anch’egli da una grande passione per il mondo classico, stava realizzando la propria villa lungo la via Salara. A differenza delle principali ville romane moderne, che pure erano ornate con gli antichi reperti che comunemente ed in gran numero venivano alla luce durante i lavori di scavo per la loro esecuzione, l’Albani aveva progettato la propria in funzione della cospicua collezione di cui era già in possesso, mirando a disporre ogni pezzo secondo la collocazione e l’uso che poteva avere in origine. In definitiva egli voleva ricreare la suggestione delle più celebri ville dell’antica Roma e, come confermano i commenti concordi dei contemporanei, era perfettamente riuscito in tale intento. Alcuni, come l’abate Richard, paragonavano il nuovo palazzo al 'Laurentinum' di Plinio, mentre altri, come lo Strocchi, affermavano che il complesso ricordava da vicino le ville e gli orti di Lucullo, di Sallustio e di altri consoli romani; lo stesso Albani venne chiamato l’Adriano del suo secolo, per avere, come il celebre imperatore, ricostruito nella sua villa i luoghi di un pellegrinaggio ideale (fig. 2).
 
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fig. 6
 
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Alle lussuose ville dell’antica Roma, come quella di Adriano a Tivoli, volle ispirarsi anche il Farsetti, come afferma Henrik Jansen, nella prima edizione delle 'Lettres familières' di Winckelmann: "M. l’abbé Farcetti vouloit que son jardin, d’une grande étendue, représentât les débris de l’habitation d’un empereur Romain, dans le style de la villa Adrienne aux environs de Rome". [2] Egli tentò, in gran parte riuscendovi, un’operazione ancora più ambiziosa di quella intrapresa dall’Albani, avendo una superficie a disposizione molto più ampia, pressoché illimitata, ed anche maggiori disponibilità economiche. Egli ha voluto evocare nella villa di S. Maria di Sala gli edifici dell’antica Roma che attraverso i grandiosi resti allora esistenti, oppure le descrizioni contenute nelle fonti letterarie, l’hanno maggiormente suggestionato, come l’anfiteatro, il foro, il Campidoglio, la naumachia, la piramide cestia, gli acquedotti, i templi, i palazzi. In un secondo tempo il suo progetto diventò sempre più ambizioso e fantastico, affidando alcuni progetti grandiosi e spettacolari ad un altro architetto, il francese C.L. Clérisseau, il quale, molto meglio del Posi, abilissimo e fantasioso, ma inevitabilmente ancora legato ai modi espressivi della tradizione barocca, era sensibile al nuovo gusto che valorizzava le lezioni dell’antichità. Si tratta delle finte rovine di un circo romano, di una strada consolare e di un ponte trionfale, i quali, per una serie di circostanze sfavorevoli che vedremo, non furono purtroppo realizzati.
 
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fig. 7
 
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Delle più celebri ville dell’antichità il Farsetti ha voluto evocare anche gli splendidi e tanto decantati giardini, mettendo in atto anche in ciò un’idea grandiosa ed originale, quella cioè di concepirli come un unico grande 'orto botanico', organizzando e distribuendo le diverse specie di piante con singolare magnificenza e spettacolarità, tanto da venire considerato il più grande e più bello d’Europa. [3] La botanica era infatti, assieme all’arte, un’altra grande passione del Farsetti, derivatagli dalla frequentazione degli amici veneziani Franceso Patarol e Leonardo Sesler che volle come suoi collaboratori nell’organizzare e dirigere il giardino di Sala.
 
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fig. 8
 
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I grandi lavori per la realizzazione della villa ebbero inizio nel 1753, subito dopo cioè il ritorno del Farsetti da un lungo periodo trascorso a Roma, e riguardarono la regolazione delle acque con la formazione di canali e peschiere, la formazione dell’orto botanico, di un orto da cucina e di un frutteto, di un boschetto di alberi indigeni ed esotici (il 'bosco montan'), di alcuni giardini e parterres, 'conserve' per i vasi di agrumi, 'cedrare' e 'stufe', unite tra loro da graziosi padiglioni chiamati gli 'attacchi'. Successivamente, e fino al 1766, furono realizzati altri edifici ed elementi importanti del giardino, come nuove 'conserve' per gli agrumi ed i fiori in vaso, una serra per i garofani (la 'fiorita'), nuove stufe (la 'nova' e la 'novissima') per le piante esotiche più delicate, una stufa per gli 'ananas', un secondo boschetto per gli alberi dell’America settentrionale e delle Indie orientali (il 'bosco sempreverde'), il giardino dinanzi al futuro palazzo; infine tutta la sistemazione dell’ampia area a sud della strada Cavin di Sala, concepita come un’unica grandiosa e spettacolare scenografia della quale facevano parte un 'anfiteatro', formato da un doppio ordine di tassi sagomati ad arco e da gradinate in pietra, nel cui centro era stata eretta una copia della 'colonna traiana'; un tempietto sopra una montagnola (il 'Campidoglio') con ai piedi un laghetto di forma ovale (la 'naumachia'); un 'labirinto' delimitato a sud da un rilevato ad arco con i resti del 'tempio di Diana' e la 'selva' a lei dedicata (fig. 3).
 
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fig. 9
 
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A fronte di tutte queste realizzazioni, le normali anche se ingenti entrate del Farsetti non erano sufficienti, tanto che egli dovette ricorrere a prestiti, come i 5.000 zecchini avuti nel 1764 da Francesco Algarotti, tramite il di lui fratello Bonomo, di cui era stretto amico. Soltanto nel 1769, al ritorno dall’ultimo soggiorno romano, durato tre anni, durante il quale era riuscito ad entrare in possesso, come si è detto, di una somma ingentissima, potè dare inizio alla realizzazione del nuovo 'palazzo' e dell’edificio di servizio (la 'foresteria') ad esso adiacente.
 
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fig. 10
 
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Per comprendere meglio la genesi tipologica ed architettonica del palazzo, che costituisce senza dubbio la più importante opera del Posi, è necessario prendere in considerazione due suoi progetti di case di campagna, non realizzati, che costituiscono molto probabilmente le prime soluzioni per il palazzo di Sala e possono riferirsi all’intenzione iniziale del Farsetti, quella cioè di realizzare la propria villa a Padova [4]. I due progetti, l’uno conservato a Roma (fig. 4) e l’altro a New York (fig. 5) presentano una caratteristica comune: una rotonda centrale con ali; un motivo di fondo dell’architettura dei palazzi barocchi, che troviamo anche nel palazzo di Sala e nel casino di villa Albani, anche se elaborato, nei due casi, in modo completamente diverso. Questo motivo fu in particolar modo sviluppato dal grande architetto austriaco J. B. Fischer von Erlach nell’ideare i progetti di alcuni palazzi o ville di delizie ('lustgebäude', 'gartengebäude', 'lustgartengebäude'), diffusi poi o attraverso stampe o tramite la sua nota opera 'Historische Arkitektur', che servirono di modello per molti architetti, compreso il Posi (fig. 6). In questi progetti Fischer cercò di combinare la maniera francese (edifici sviluppati in larghezza) con elementi italiani (tetti a terrazza con statue e vasi), in modo da conferire all’edificio il massimo movimento e varietà, avvicinandosi all’aspetto delle antiche ville romane. [5] Una sala rotonda illuminata dall’alto era inoltre l’ideale per un allestimento museografico, considerato che l’intenzione del Farsetti era quella di realizzare, come in effetti fece, nella parte centrale del palazzo un "superbo museo", [6] elemento quest’ultimo comune anche a villa Albani (che in realtà era tutta un grande museo) e ad altre ville romane 'moderne'. A riprova di ciò è da osservare che il Posi nell’occasione di ammodernare il palazzo Colonna a Roma, usò proprio questo motivo nella progettazione del nuovo braccio destinato a raccogliere una collezione di statue e bassorilievi antichi e una collezione di quadri del connestabile (fig. 7).
 
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fig. 11
 
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Il progetto definitivo del palazzo di Sala fu invece quasi sicuramente elaborato nei dettagli dall’architetto senese nel periodo dell’ultimo soggiorno romano del Farsetti, ciò sia perchè soltanto allora questi ebbe la disponibilità di tutte le colonne antiche, impiegate, così come aveva fatto anche l’Albani, non tanto (o soltanto) con scopo decorativo, ma bensì come elementi strutturali, sia perchè esso si avvicina stilisticamente ad un’altra opera realizzata dal Posi in questo stesso periodo, la chiesa di S. Caterina da Siena. Nello sviluppare e definire il progetto è presumibile che il Posi abbia rielaborato e perfezionato le soluzioni precedenti, aggiungendo in particolare al corpo centrale a tre piani, due ali più basse a due piani, formate da due padiglioni terminali e da altrettanti portici e gallerie di collegamento. Rispetto ai modelli elaborati da Fischer, o da questi derivati (compresi i due progetti del Posi esaminati sopra), nel palazzo di Sala il Posi raggiunge abilmente una notevole perfezione formale e compositiva ponendo la sala ovale esattamente in asse con le due sale laterali, con i due portici e con i due 'padiglioni' (figg. 8, 9,10,11,12).
 
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fig. 12
 
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Volendo fare qualche raffronto con villa Albani, sotto il profilo stilistico e tipologico, a ben guardare, troviamo più diversità che elementi comuni, a cominciare dal tipo di composizione, quella seriale del Marchionni e quella gerarchica usata dal Posi. Anche l’obiettivo di rievocare un antico palazzo romano è stato affrontato dai due architetti usando due stili completamente diversi; nel palazzo dell’Albani si può infatti notare un ritorno all’architettura del Rinascimento, rielaborata secondo i caratteri settecenteschi, mentre in quello di Sala è invece presente il tentativo, pur nell’uso di motivi tipici dell’architettura barocca e del Settecento (linee curve) di dare all’insieme un aspetto classicheggiante, cercando la purezza e la linearità delle forme ed escludendo il più possibile gli elementi decorativi usuali che avrebbero potuto appesantirne il disegno, oltre che essere del tutto estranei agli edifici dell’antichità.
 
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fig. 13
 
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Nell’ala di servizio, detta la 'foresteria', rimasta purtroppo incompiuta per la morte del Farsetti, il Posi ha invece fatto uso della composizione seriale indifferenziata, il cui modulo compositivo è formato da un arco con sovrapposta una finestra, delimitati da pilastri (fig. 13). Tale soluzione era infatti più appropriata, come sosteneva anche il Milizia, a delimitare un cortile di servizio, in quanto i portici con archi, pur non possedendo la stessa magnificenza e bellezza delle colonnate piane, erano tuttavia più solidi e meno dispendiosi di queste ultime; d’altra parte, nel nostro caso, le due diverse ed in un certo senso contrapposte soluzioni, creavano per la varietà un insieme piacevole; nel contempo, l’applicazione dello stesso ordine architettonico sia nel palazzo che nella foresteria, determinava una continuità stilistica tra i due edifici.
 
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fig. 14
 
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Un altro interessante elemento della villa progettato dal Posi è il complesso formato dalle cedrare e dalle stufe con i relativi 'attacchi' (figg. 14,15). L’architetto senese fu chiamato anche a dirigerne i lavori; la sua presenza a Venezia e a Sala è infatti documentata almeno in due occasioni: nel gennaio 1755 [7] e nel marzo 1759. [8] Nel Veneto le logge di agrumi si diffusero soprattutto nel Settecento, ma a Roma, dove erano chiamate 'cocchi', erano già presenti nel secolo precedente. Il Ferrari nella sua nota opera 'Hesperides sive de Malorum Aureorum Cultura et usu Libri quatuor (Roma 1646)' descrive una di queste logge, quella del cardinale Pio di Savoia presso il colosseo, che veniva protetta durante l’inverno da stuoie sostenute da una struttura mobile in legno, le quali potevano alzarsi ed abbassarsi a seconda dell’occorrenza; il modello si diffuse in seguito in molte altre ville romane, come nelle ville Borghese, Pamphilj e Albani. Le due cedrare di Sala che collegavano con un piacevolissimo percorso, lungo oltre 200 metri, il palazzo con il settore ovest del giardino dove erano ubicate in particolare le stufe e lo studio botanico, erano ammiratissime. "Citreta regifico luxu constructa", le definiva il Turra [9] ed il Griselini: "superbe e reali cedraie". [10] Per conferire a queste logge un aspetto di maggiore eleganza e lusso, il Farsetti aveva fatto rivestire tutta la struttura in ferro di sostegno con lamine di oro zecchino, come ci fanno sapere ad esempio i seguenti versi del Tosi (1760): "Lunga amena ... d’aranci ricoperta Loggia, / il di cui ramo serpeggiante affrena aurea colonna / cui s’affida, e appoggia arco superbo d’or" [11] ed il Roberti, in una lettera (s.d.) diretta a T.G. Farsetti: "I cedri appoggiano i rami sopra tali spranghe di ferro che colla viva doratura emulano la giallezza delle lor frutta allorchè sono mature". [12] Durante i mesi freddi le cedrare venivano riparate con una struttura in legno, addossata ad un muro lungo i lati nord ed est da cui spirano i venti freddi, la quale, pur nella sua semplicità e ripetitività, costituiva tuttavia un interessante elemento architettonico nell’ambito del giardino.
 
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fig. 15
 
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Anche il disegno delle 'stufe' progettate dal Posi presentava un modulo semplice e ripetitivo derivato da esigenze funzionali ma che dava all’insieme un aspetto veramente maestoso, come ci confermano ad esempio l’Arduino (1759) che parla di "grandi e splendidi calidari, tepidari e frigidari" o il Patarol (1759) che le descrive come "bellissime stuffe ad uso d’Inghilterra e di Vienna". Gli 'attacchi', due graziosi padiglioni che compositivamente servivano il 'primo' a collegare le stufe con 'la prima cedrara' ed il 'secondo' a collegare quest’ultima con 'la seconda cedrara', situata all’incirca perpendicolarmente ed a un livello inferiore rispetto alla precedente, mentre funzionalmente costituivano dei luoghi di sosta e soggiorno all’interno del giardino, richiamano alla mente, con tutti i loro elementi ornamentali (vasi, guglie, statue) le fantasiose macchine pirotecniche che per molti anni il Posi ha progettato in occasione della festa della Chinea che si svolgeva a Roma, per lo più in piazza SS. Apostoli, durante la festività dei SS. Pietro e Paolo. Tra questi elementi il Posi ha inserito il 'casino per lo studio della bottanica', chiamato in seguito più semplicemente la 'bottanica', inizialmente non previsto, ma anche compositivamente necessario in quanto con la sua verticalità creava, assieme alla preesistente colombara, un elemento di contrasto nell’uniformità in altezza della costruzione che si estendeva per ben 330 metri. Di tutto questo complesso è purtroppo rimasto ben poco: la 'bottanica' ed il muro della 'prima cedrara' (fig. 16).
 
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fig. 16
 
<17>
Molto ben riuscito è anche un altro elemento della villa progettato dal Posi, che faceva parte della scenografica sistemazione dell’ampia area situata a sud della strada Cavin di Sala, il cosiddetto 'Campidoglio', che doveva rappresentare quello romano; esso è andato completamente distrutto, ma possiamo conoscerlo abbastanza nei dettagli attraverso alcuni disegni e vedute che ci sono pervenute. Era formato da una 'montagnola' con un edificio dalle sembianze di un 'antico tempio' riutilizzato sulla sommità e da due colonne con architrave sulle pendici, raffiguranti i resti del 'tempio di Giove Tonante', e ai suoi piedi un piccolo lago di forma ovale che doveva rappresentare una 'naumachia' (fig. 17). Per la progettazione del tempio antico il Posi sembra aver preso ispirazione dai resti all’epoca ancora semisepolti di antichi edifici presenti nel Foro romano, come il tempio di Saturno (allora detto della Concordia) che sorge proprio nelle vicinanze del Campidoglio; del tempio di Vespasiano (allora creduto di Giove Tonante) ed il tempio di Antonino e Faustina, trasformato nella chiesa di S. Lorenzo in Miranda (fig. 18); come pure al Pantheon per i due campaniletti berniniani esistenti all’epoca. Le proporzioni perfette, basate sulla canna architettonica (10 palmi romani) e l’aspetto molto armonioso dovevano conferirgli anche un significato ben preciso, quello cioè della perfezione dell’architettura classica, presa come un modello da imitare. [13] All’edificio era possibile pervenire sia percorrendo un sentiero sulla collinetta, sia attraversando il laghetto con una piccola imbarcazione, dopo essere entrati in una specie di grotta e saliti per una scala a chiocciola. Si può avanzare l’ipotesi che la costruzione avesse anche un significato simbolico, legato alla massoneria a cui il Farsetti era affiliato, la rappresentazione cioè dei tre mondi, quello 'oscuro' (la grotta), quello 'semplice' dell’uomo naturale (il pianterreno del tempio), quello 'della saggezza' (la terrazza del tempio, che amplia l’orizzonte dell’esperienza), che bisognava attraversare per esservi ammesso.
 
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fig. 17
 
<18>
Prima di terminare non possiamo non soffermarci sul grandioso progetto affidato a Clérisseau, il quale, se realizzato, come ardentemente desiderava il Farsetti, avrebbe senza dubbio costituito, per l’originalità e la spettacolarità dell’intervento, l’attrattiva più interessante di tutta la villa. Il primo elemento del progetto riguarda i resti di un circo romano (la 'spina antica'); che avrebbe dovuto sorgere oltre l’anfiteatro, a chiusura della lunga prospettiva che iniziava dal centro del palazzo. La rovina aveva dimensioni notevoli: circa 273 metri di lunghezza, 78 di larghezza e 32,5 di altezza; la spina doveva essere ornata con una fontana al centro e due obelischi alle estremità ed il resto con vari frammenti antichi, come statue, vasi, tripodi, altari, bassorilievi. [14] Winckelmann che aveva avuto modo di vedere il modello in sughero, considerava il progetto veramente superbo, e così abilmente progettato da sembrare più il rilievo di un monumento antico realmente esistito che una composizione sullo stesso genere. Il noto collezionista francese Mariette, al quale Clérisseau aveva mostrato alcuni disegni del progetto, sosteneva che la sua esecuzione era ben al di sopra delle possibilità economiche di un privato. [15]
 
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fig. 18
 
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Il secondo elemento è rappresentato da un’antica 'strada consolare' in rovina, che doveva essere realizzata lungo il tratto della strada pubblica detta il Cavin di Sala, che attraversava la villa, per una lunghezza di circa 480 metri. La strada avrebbe dovuto essere ornata dai resti di manufatti e monumenti solitamente presenti, come fontane, statue, iscrizioni ed un gran numero di sepolcri e sarcofagi. Sembra che proprio nella prospettiva di realizzare questo progetto, il Farsetti avesse già avviato, verso il 1762, i lavori di allargamento della strada Cavin di Sala, portandola mediamente da sei a dodici metri di larghezza. Il terzo elemento, infine, è costituito da un 'ponte trionfale', da realizzare sulla peschiera esistente lungo il lato nord del Cavin di Sala, per l’accesso al palazzo dalla strada consolare, attraverso il lungo viale centrale del giardino. I motivi per cui questi progetti non vennero realizzati sono principalmente tre: anzitutto la morte del Farsetti, avvenuta nel 1774, due anni dopo l’ultimazione del palazzo e mentre era ancora in costruzione la foresteria; in secondo luogo il ritorno di Clérisseau in Francia, senza avere completato l’intero progetto; infine le difficoltà sorte per ottenere lo svincolo dei rimanenti beni della secondogenitura, situati in particolar modo negli stati di Massa e Carrara, il cui valore ascendeva, come abbiamo detto, a circa 144.000 scudi. Alla sua realizzazione il Farsetti teneva moltissimo; ne è una prova quanto Winckelmann, riferendosi all’abate veneziano, scriveva nel 1767 a Clérisseau ("Il brûle de mettre le tout à exécution") e possiamo credere che egli ne parlasse ancora con entusiasmo all’amico Tommaso Temanza quando questi nell’autunno del 1771, mentre era in costruzione il palazzo, si recò a fargli visita. L’architetto veneziano, in una lettera al Milizia, parlando della villa di Sala e del Farsetti, diceva infatti: "Essa villa è sorprendentemente bella ... Egli spende senza misura, ed il suo bel Genio gli fa fare dei voli sopra le nubi". [16] Alcuni disegni di Clérisseau conservati all’Ermitage, probabilmente pur non riferendosi in modo diretto al progetto commissionatogli dal Farsetti, possono tuttavia dare l’idea dello scenario che, una volta realizzato il progetto in questione, avrebbe potuto incontrare il viaggiatore attraversando la villa di S. Maria di Sala (figg. 19-20)
 
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fig. 19fig. 20
 

Note:

[1] Le notizie ed i concetti sopra esposti sono ampiamente trattati in: Loris Vedovato: Villa Farsetti nella storia, Parte I, Venezia (Biblioteca comunale di Santa Maria di Sala) 1994. E’ attualmente in fase di preparazione la seconda parte.
[2]
Johann Joachim Winckelmann: Lettres familières de M. Winckelmann. Avec les ouvres de M. le Chevalier Mengs, II, Yverdon 1784, 223.
[3] Giovanni Marsili: Dei Patrizii Veneti dotti nella cognizione delle piante e dei loro orti botanici più rinomati (1771), Padova 1840, 21-22.
[4] Pier-Alessandro Paravia: Delle lodi dell’ab. Filippo Farsetti, Venezia 1829, 36 (n. 33).
[5] Hans Sedlmayr: Johann Bernhard Fischer von Erlach architetto, Milano 1996, 106 e ss.
[6] Winckelmann: Lettres, 224.
[7] John Kenworthy-Browne: Matthew Brettingham’s Rome Account Book (1747-1754), in: The Walpole Society (1983), 100.
[8] Lina Livan: Notizie d’arte tartte dai Notatori e dagli Annali del N.H. Pietro Gradenigo, in: Miscellanea di Studi e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Venezie, V, Venezia 1942, 39.
[9] Antonio Turra: Farsetia novum genus, Venetiis 1765, 4.
[10] Giornale d’Italia, II, Venezia 1766, 69-70.
[11] Giambattista Vinco Da Sesso: Bartolomeo Ferracina tra uomini e cose del ‘700 veneto, in: Bartolomeo Ferracina (1692-1777), Solagna 1978, 161.
[12] Giambatista Roberti: Opere, XVII, Venezia 1831, 50.
[13] Emilio De Tipaldo: Descrizione della deliziosa Villa di Sala, Venezia 1833, 22.
[14] Winckelmann: Lettres, 223-224 (n. 1).
[15] Pierre Jean Mariette: Abecedario, I, Paris 1851-1853, 379.
[16] Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale, b. 318-7.
 

Autore

Ing. Loris Vedovato
Via Noalese, 108
30036 Santa Maria di Sala/ Venezia
studio.vedovato@tiscalinet.it

 

Empfohlene Zitierweise:

Loris Vedovato: La Villa Farsetti a Santa Maria di Sala presso Padova.
Influenze romane nell'ambito veneto, in: zeitenblicke 2 (2003), Nr. 3 [10.12.2003], URL: <http://www.zeitenblicke.historicum.net/2003/03/vedovato.html>

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ZEITENBLICKE ISSN: 1619-0459